TURBIGO – Nessuno lo ha ricordato durante i tanti eventi del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Anche noi che abbiamo faticosamente elaborato un libro divulgativo sulle ‘Battaglie del Ticino’ non siamo andati al di là della foto del largo di Sesto Calende dove il capitano Carlo De Cristoforis (cugino dei De Cristoforis turbighesi) approdò, pochi giorni prima di essere ucciso, con i suoi ‘Cacciatori delle Alpi’ e conquistò il primo suolo lombardo nel maggio 1859. Abbiamo cercato di rimediare realizzando il suo profilo nel giorno in cui si ricarda Giovanni Falcone che proponiamo insieme alla foto (tratta da una stampa dell’epoca) dei sei maschi della famiglia De Cristoforis, benemerita per l’Unità d’Italia. Partendo dall’alto a sinistra: Malachia, Carlo, Giulio, Giuseppe, Giacomo, Giorgio.
CARLO (1824-1859) figlio di Giambattista, prese parte ai moti del 1848 (Cinque Giornate di Milano) e fu sempre assiduo nel cospirare contro gli austriaci per amore di patria. I suoi amici erano Ludovico Trotti, i fratelli Mancini, Emilio Dandolo, Luciano Manara, Emilio Visconti Venosta, Carlo tenca, Giulio Carcano, Antonio Lazzati, Tullio Masserini, Con questi e altri frequentava il salotto della contessa Maffei. Nel 1853, imputato di alto tradimento, si rifugiò in Francia, poi a Londra, dove, “sentito il richiamo alla guerra dell’italica indipendenza”, ritornò in Lombardia. Capitano dei Cacciatori delle Alpi varcò il Ticino a Sesto Calende (il passaggio sul fiume fu immortalato di Eleuterio Pagliano: seduto sopra un fianco con le gambe fuori…).
Alla testa di 120 uomini respinse – nel mattino del 25 maggio 1859 – 300 fanti e 150 cavalli austriaci con due pezzi d’artiglieria sulla strada da Sesto Calende a Somma Lombardo. Aiutò in questo modo l’avanzata di Garibaldi al quale si ricongiunse a Varese. Il 27 maggio fu scelto per attaccare di fronte il corpo del maresciallo Carlo Urban e una palla lo colpì a morte.
LETTERA che Carletto De Cristoforis scrisse a Luciano Manara il 20 giugno 1849 e la risposta di Luciano Manara – impegnato negli scontri della Repubblica Romana – del 29 giugno, un giorno prima della morte di quest’ultimo:
“Caro Manara
non posso lasciare di scriverti, se non fosse altro per darti un attestato della nostra viva memoria per te. Ah! Perché tempo e denaro impediscono a me ed a qualcuno dei miei fratelli di raggiungervi. Bravo Manara! Il tuo nome a Milano è pronunciato con tutta quella stima e riverenza che merita. Nel dispiacere della perdita di tanti tuoi amici, possano almeno queste parole d’un tuo amico, portarti qualche consolazione! Leggo in una lettera di Della Porta che sei colonnello e Capo di Stato Maggiore di Garibaldi, ed è il meno che meriti. Povero Dandolo! Povero Enrico e più da compassionare il mio caro Emilio; almeno Enrico ha fatto quella fine che tutti noi desideriamo; darai per me un bacio ad Emilio. Salutami Morosini, Della Porta e Mancini, se sono ancora viva. Dammi notizie di Pagliani, di Mangiagalli, di Bertarini, di quelli tutti che io conosco. Se ti cresce un quarto d’ora di tempo il miglior piacere che tu possa farmi, oltre a quello di salvarti la pelle, è di scrivermi, e presto.
I miei fratelli stanno bene; così anche Bosisio ed Osio. Di tua moglie e de’ tuoi figli ho domandato questa sera, e son sani. Daverio è realmente morto? A rivederci. Questa parola contiene tanti auguri per te, per noi, pel paese, che la scrivo tremando! Quante cose saranno accadute quando vi rivedremo. Ua cordiale stretta di mano dal tuo amico
Carletto
P.S. Il mio indirizzo è S. Vittore e 40 Martiri 1199, Milano. Qui tutto è tranquillo, ma in Tirolo Italiano da 10 giorni tuona il cannone, non si sa perché ma si ode fino a Brescia. Il mese venturo esce la conscrizione doppia del 48 e del 49. Tutti i giovani sono pronti a fuggire al primo avviso, come già si fece il mese di maggio per lo stesso motivo. Continuano i rigori per i detentori di armi, e rispettive fucilazioni e insolenze: anche l’altro dì un ufficiale ha malamente assalito un cittadino inerme. Il Paese è un cannone carico fino alla bocca, e non attende che la miccia. Sono tornati molti degli emigrati. E’ accaduto un grande mutamento d’opinione: gli albertisti, i costituzionalisti sono diventati una minoranza impercettibile e vergognosa di sé medesima.
Perdona la fretta e l’incoerenza dello scritto; ma scrivendo a te, e nel luogo ove sei, il cuore guida la testa. A rivederci.
Quella che segue è la risposta di Luciano Manara:
Caro Carletto,
Leggo la tua lettera affettuosa, generosa. Essa mi commuove perché scritta da te che tanto amo e stimo, perché mi vai toccando vicine e tremende memorie che mi hanno solcato l’animo per sempre!
Roma sostiene un attacco di sei giorni. Il Genio e i cannoni fanno le brecce, ma il nemico dopo trova il petto dei bravi. Trentamila Francesi hanno aperto sei brecce. Da 9 giorni occupano un bastione. Si sono sotterrati come sorci nei fossi. Non osano mostrarsi. Quando assalgono son respinti e fuggono. Vinceranno perché materialmente quaranta grossi pezzi livellati sopra un sol punto demoliscono e distruggono. Ma ogni maceria sarà difesa. Ogni rovina che copre i cadaveri dei nostri è salita da altri che vi muoiono piuttosto che cederla. Roma in questo momento è grande, grande come le sue memorie, come i monumenti che la ornano e che il barbaro sta bombardando.
Addio voglimi bene. Ho salutato tutti, puoi ben credere che di noi è una vera distruzione. Ogni giorno venti o trenta in meno…
Il tuo Manara