TURBIGO – Il nostro amico Angelo Paratico ha letto l’ultimo libro di Mimmo Franzinelli (“L’Arma Segreta del Duce. La vera storia del Carteggio Churchill-Mussolini”, Rizzoli 2015) e dice la sua nel merito, avendo anche scritto, qualche anno fa, un libro, ‘Ben'(con alcuni agganci significati ambientati nel territorio turbighese dal quale sembrerebbe essere originario qualche testimone dell’evento), in cui sposava quella ‘pista inglese’ che la storici di sinistra non riescono a prendere in considerazione. L’ex direttore del ‘Corriere’, Paolo Mieli ha già avuto modo di stroncare – in una recente trasmissione televisiva su Rai 3 – l’ipotesi che ci fosse un carteggio segreto tra Churchill e Mussolini e Mieli è uno che quando parla di fatti storici, oggi, fa ‘giurisprudenza’ (gl)
Gli storici che pubblicano libri sugli accordi segreti fra Churchill e Mussolini si possono dividere in due grandi categorie. Coloro che ci credono e coloro che non ci credono.
Poi da entrambe le parti si trovano ricercatori che tentano di comporre il puzzle storico con serietà e rigore e chi, invece, accecato dai propri preconcetti – di destra e di sinistra – vuole plasmare i fatti invece che esporli. Mimmo Franzinelli, nato nel 1954 in provincia di Brescia, si trova accampato fra coloro che non ci credono. Il suo ultimo libro, uscito presso Rizzoli, è stato recensito positivamente da Paolo Mieli. L’ex direttore del “Corriere della Sera” si dice convinto che questa sarà l’opera che metterà una pietra tombale sulla annosa querelle conosciuta come Pista Inglese.
Ora lasciatemi chiarire da che parte sto accampato io. Mi trovo fra coloro che credono sia esistito qualcosa. Avevo pubblicato con Mursia nel 2010 un romanzo basato su tale argomento, intitolato ‘Ben’. Un romanzo storico ma nel quale i protagonisti non sono Mussolini e Churchill, bensì Bond, James Bond…
Il metodo d’indagine di Franzinelli è spiccio e aggressivo, e non lesina titoli nei confronti di quegli autori che scrivono, o hanno scritto, cose che gli paiono in contrasto con la propria linea d’indagine. Nella sua foga di negare pare prendere varie cantonate: esagera quando dice che la moglie di Marinetti era l’amante del Barone Hidaka, il rappresentante giapponese presso la RSI o che l’ex capo delle Waffen SS in Italia Karl Wolff, sempre a caccia di soldi nel dopoguerra, produceva dei falsi. Poi, senza difficoltà, accetta per vera l’ipotesi di Alberto Bertotto che sostiene come Mussolini, tramite una capsula di cianuro impiantata in un dente, si sia suicidato.
Mi par anche che ignori che il best seller di Churchill in 6 volumi “La Seconda Guerra Mondiale” che lo arricchì e gli fece avere il Nobel per la Letteratura non fu scritto da lui, ma da un gruppo di storici ai quali egli aprì l’archivio, come ha dimostrato David Raynolds In “Command of History Churchill Fighting and writing the Second World War” Londra 2004. Churchill fece solo da supervisore all’opera.
Nell’ultima fatica di Franzinelli le sue artiglierie vengono dirette in particolare contro il carteggio di Enrico De Toma, anche se tale carteggio non gode di molta credibilità da parte di storici come Bandini e Luciano Garibaldi, autore quest’ultimo de “La Pista Inglese”, tradotto negli Stati Uniti con “Mussolini. The Secrets of his Death” dove De Toma non appare citato neppure una volta.
L’incartamento De Toma ha comunque un notevole peso mediatico. Fu una parte di quelle carte che in un processo, dai risvolti rocamboleschi e incredibili, finì per portare in carcere per oltre un anno un grande scrittore come Giovanni Guareschi.
Che ci siano stati truffatori e falsari che ci hanno marciato su questa storia della pista inglese lo ammettono anche i ricercatori seri come, appunto, Luciano Garibaldi ma ciò non significa necessariamente che tutto sia falso e contraffatto, bisogna fare attenzione con le generalizzazioni.
Ecco un esempio preso dalla storia antica: Amerigo Vespucci (1454-1512) compì quattro viaggi nel Mondo Nuovo ma il nome America venne assegnato al nuovo continente, nella parte a sud, dal cartografo Waldseemüller che prese sul serio certe lettere false attribuite al Vespucci. Dunque il Vespucci ci andò davvero in America, anche se quei documenti erano falsi.
Giovanni Fasanella e Mario J. Cereghino, sono gli autori de “Il Golpe Inglese” pubblicato da ChiareLettere nel 2011. Non son certo autori di destra, ma hanno dimostrato, documenti alla mano, che l’interesse britannico per la nostra penisola è stato maggiore di quanto possa apparire. Dall’assassinio di Matteotti al caso Aldo Moro essi hanno tentato di condizionare la nostra politica interna ed estera.
Ecco cosa dice Giovanni Fasanella in un’intervista:
“Non è un libro di chiacchiere, dietrologie o ipotesi complottistiche, ma si basa interamente su centinaia di documenti secret e top secret che abbiamo trovato negli archivi di Kew Gardens. Rapporti, lettere, analisi ed altro materiale di governi, diplomazia e intelligence di Sua Maestà britannica. Sono dunque gli stessi inglesi che raccontano, attraverso le loro stesse parole scritte nero su bianco, come hanno condizionato il corso della storia italiana.
In particolare ci hanno condizionati costruendo loro ‘quinte colonne’ interne negli ambienti del potere: informazione, cultura, politica, diplomazia, apparati… Fra i documenti che pubblichiamo, ci sono elenchi di decine e decine di giornalisti, politici, sindacalisti, cardinali, militari e prefetti ‘influenzati’ dagli uffici della propaganda dei Servizi inglesi. I ‘clienti’ italiani, come vengono definiti dalla centrale londinese.”
Credo che il primo ad aver alimentato l’idea di un coinvolgimento diretto inglese sia stato lo stesso Winston Churchill. Una volta perse le elezioni, nel 1945, prese un aereo che lo portò a Milano, era accompagnato dalla moglie e dal medico personale. Prima andò per un minuto di raccoglimento sulla tomba di Mussolini e poi si trasferì sul Lago di Como, dove rimase per due settimane, in ferie, scolandosi cento bottiglie di champagne gentilmente offerte dal suo anfitrione. Queste cose le conosciamo bene per via del diario personale del suo medico, il Visconte Moran, che subito dopo la morte del suo cliente pubblicò il proprio diario “Churchill at War, 19040-1945″ nonostante la contrarietà della vedova, Clementine Churchill. Orbene, con tutti i posti di cui disponeva l’ex Primo Ministro doveva andare proprio nei luoghi dell’ultimo viaggio di Mussolini e dove i documenti che portava con sé erano spariti? Esiste anche una registrazione televisiva di Sandro Pertini il quale afferma che subito dopo la Guerra fu avvicinato da alcuni ufficiali britannici i quali volevano sapere se era entrato in possesso dei documenti che conteneva. Se non esistevano, perché li cercavano?
Mimmo Franzinelli riporta estesamente anche le smentite di Churchill, ma è evidente che avrebbe smentito comunque: anche un ladro che ha appena fatto sparire le prove che l’accusano negherebbe che tali prove siano mai esistite, altrimenti perché le avrebbe fatte sparire?
Vorrei terminare con una chicca poco conosciuta in Italia.
Il libro “Five days in London. May 1940″ di John Lukacs, un famoso storico Americano, è molto avvincente. Uscì nel 1999 e nel suo genere resta un classico. Piace a tal punto che viene offerto come strenna dalla Folio Society inglese in un’edizione di lusso. Vi si descrivono i drammatici e convulsi giorni dal 24 al 28 di maggio a Londra, nelle strade e nei palazzi del potere, e dove i principali attori furono Winston Churchill e Lord Halifax. Quei giorni segnarono il trionfo personale di Winston Churchill, che prima di essere resuscitato da Chamberlain e posto alla guida del Paese, veniva visto malissimo anche dalla regina madre, da Roosevelt e da tutto l‘establishment britannico. Lo credevano un ferrovecchio, un ubriacone, un personaggio inaffidabile ed emotivamente instabile, pur possedendo una forza retorica notevolissima. La Francia agonizzava e spingeva per una soluzione negoziata utilizzando Mussolini come intermediario. Halifax a tal fine e segretamente incontrò varie volte l’ambasciatore d’Italia Bastianini. A guerra finita tutti negarono queste aperture per paura di essere messi nella lista dei disfattisti, noti come ‘appeasers’ e, per tal motivo, molti dei diari e delle memorie pubblicate da quei pesi massimi e dai loro assistenti furono accuratamente censurati. Anche le memorie di Bastianini non contengono alcun accenno a tali incontri, anche se dagli archivi britannici sono uscite varie minute che dimostrano come questi siano effettivamente avvenuti e vi sono accenni agli argomenti trattati. Il punto che ricaviamo dalla lettura di questo libro è che Churchill, da quel pasticcione in ritardo sui tempi e sui fatti, da uomo in bancarotta, si trasformò improvvisamente in un grande statista, ma questo non rende bene l’idea. Diventò un visionario, che sapeva leggere nel futuro, quasi potesse consultare una sfera di cristallo. Certo in ciò fu aiutato da generali di prim’ordine che avevano il coraggio di contraddirlo, quando prendeva decisioni avventate.
Contro ogni logica, contro l’evidenza, contro ai fatti, egli ebbe ragione e vinse.
Potrebbe anche essere che egli conosceva cose che i suoi collaboratori non conoscevano. Non si può pensare ad altro, e pur rischiando di passare per degli ingenui e dei creduloni, diremo che la netta impressione che se ne ricava è che egli avesse dei canali diretti di dialogo.
Forse, grazie a questo asse parallelo, egli conosceva, attraverso Mussolini, i pensieri e i calcoli di Adolf Hitler. Come questo sia potuto accadere, lo ignoriamo; eppure nel libro di Lukacs esiste una traccia che lascia sbalorditi. Si tratta della drammatica riunione del 26 maggio 1940, ore 17 ad Admirality House, Londra. E.G. Esnouf scrive le note, che furono poi archiviate. Halifax cercava ancora una soluzione negoziata e diceva che l’indipendenza di Mussolini sarebbe stata minata dalla caduta della Francia e della Gran Bretagna e per questo motivo avrebbe potuto usare la propria influenza per negoziare dei termini che non pregiudicassero l’indipendenza britannica.
Lo interruppe Churchill, dicendo che ogni mossa nei confronti di “Musso”era inutile. Perché anche se avessero offerto Gibilterra, Malta e qualche colonia africana, gli pareva incredibile che Hitler lo lasciasse fare. In questo aveva ragione: Mussolini era terrorizzato da Hitler in quei giorni, e dalla formidabile macchina da guerra nazista anche se, in fondo, sperava ancora che la Francia avrebbe battuto i nazisti. E poi aggiunse: “Abbiamo sentito che Hitler ha detto a Mussolini di non volerlo fra i piedi, perché è in grado di arrangiarsi da solo con la Francia.”
Ecco la nota a pie’ di pagina posta da Lukacs: “Come lo sapeva? Nel 1940, e per alcuni anni precedenti, sia i servizi segreti britannici che quelli italiani erano in grado di decrittare e di leggere molti dei propri documenti. Eppure questa richiesta di Hitler a Mussolini non poteva essere dedotta dal messaggio di Hitler del 25 maggio.” In effetti Hitler, il 25 maggio, aveva mandato all’alleato italiano un verboso messaggio per spiegargli cosa stavano facendo in Francia e il motivo della fermata dei panzer, da lui decisa e che poi permise ai Britannici di evacuare il continente. Dunque, come poteva Winston Churchill essere a conoscenza di questo fatto? Un messaggio inviato da Mussolini, o da qualcuno dei suoi ministri, restano le ipotesi più plausibili.
Angelo Paratico
La foto è quella di copertina dell’ultimo libro di Gianni Oliva (2015), Il tesoro dei vinti che tratta del mistero dell’oro di Dongo, che sembra ormai certo sia finito nelle tasche del Partito Comunista, libro di cui parleremo prossimamente.