Il 28 novembre 2002 pubblicammo su ‘Città Oggi’ quello che ci disse, in un incontro sul filo della memoria, Ambrogio Marzorati, che aveva come tema la vita in paese all’inizio del Novecento.
Di questi tempi in cui Malvaglio è salito agli onori della cronaca per i 90 anni di Yogi Berra (anche lui originario di Malvaglio da parte di padre) tanto che ‘Il Giornale’, lunedì 6 luglio 2015 ha pubblicato un lungo articolo ricordando i quattro giocatori (quattro campioni originari di quattro paesi vicini, nel raggio di 20 Km) che hanno segnato la storia americana del baseball: Joe Garagiola, Frank Crespi, Jim Pisoni, Lawrence Berra detto ‘Yogi’.
Proprio quest’ultimo, compagno di squadra di Joe di Maggio, entrato nella ‘Hall of Fame’ del baseball americano, ha ispirato – per la posizione che prendeva in campo – Hanna e Barbera quando hanno dovuto scegliere un nome per il suo famosissimo orso dei cartoni animati. Su questi presupposti, fino al 18 luglio, in Villa Annoni a Cuggiono, una mostra racconta la storia del baseball, uno sport che entrerà presto anche nelle Olimpiadi.
Quando è stata presentata a Malvaglio l’iniziativa, attualmente in corso a Cuggiono, la cugina di Yogi (per parte di madre, Paolina Longoni) ha ricordato la venuta in Italia del campione (il cui nonno aveva sposato una Torno di Nosate) e aggiunto che i suoi (gli ‘Urcela’) abitavano in uno dei tre cortile di Malvaglio, appunto uno di quelli che ci aveva raccontato Ambrogio Marzorati, nato a Malvaglio nel ’32, in piazza, Via del Cimitero. Ecco le sue parole:
I TRE CORTILI A MALVAJ: “TE’ GHE LI’ NO UNA GAINA FURESTA?”
“Al tempo in cui mia mamma, Bianchina Mantovani, era giovane (è morta a 90anni e gli raccontava le storie del paese, ndr) c’erano tre corti a Malvaglio: la corte del Vergani; il cortile del conte Mapelli (in faccia al Centro Civico attuale); la corte dello Stallazzo. E la vita del paese scorreva tutta in questi tre cortili. Le famiglie contadine allevavano gli animali da cortile e facevano dei segni sulle gambe o sulla cresta dei galli per poterli sempre riconoscere. Ma le galline, durante la giornata, uscivano dal cortile e alla sera le donne le contavano: “Ma manca una gaina!”, e allora partiva la ricerca nei diversi cortili: “Té ghe li no una gaina furesta?
“I COTT DUL PAN”
Le donne si riunivano vicino al forno per fare ‘i cott dul pan’ e capitava che, al lunedì, si formassero delle code. Bisognava scaldare il forno perché il venerdì lo si fermava e per accenderlo era necessaria della legna scadente (robinia) per introdurla nella camera del forno che, una volta arrivata in temperatura, era pronta a ricevere il pastone preparato nel ‘baslot’. Per farlo lievitare si utilizzavano le briciole recuperate dalla ‘marneta’, un volta che erano diventate ‘brusche’. E, er poter individuare le future pagnotte, le donne facevano un segno sul pastone prima di introdurlo nel forno.
“PADELLE DI RAME STAGNATE PER EVITARE LA DIARREA”
Vicino al forno, una volta alla settimana, arrivava ‘al magnan’ da Lonate Pozzolo per stagnare le padelle di rame. Lo stagno che avanzava durante il lavoro ‘al magnan’ lo raccoglieva in una buco di terra per poterlo utilizzare la prossima volta. ‘Se le padelle di rame – dice Marzorati – non le facevi stagnare ti veniva la diarrea perché diventavano verdi. Dopo la stagnatura, le donne lucidavano le padelle con cenere e aceto. Ma stavano attenti a non sprecarlo l’aceto perché in primavera – attraverso i canali secondari – arrivava giù l’acqua del Villoresi che veniva ‘corretta’ con un po’ di aceto di vino perché faceva passare la sete’.
AL PUNT DUL LACC
Quelli di Malvaglio lo chiamavano ‘al punt dul lacc’ perché c’erano solo quattro dita di acqua, mentre quelli di Turbigo lo chiamavamo ‘Albergo Malvaglio’ perché le donne del paese si ritrovavano lì quando portavano la ‘caldarina’ per il pranzo di mezzogiorno (non c’era il buono mensa!) ai figli e mariti che lavoravano a Turbigo nelle cave (dove oggi ci sono i Solai Villa), ma anche nello scavo del canale industriale. Ci si muoveva a piedi perché di biciclette non ce n’erano.
MA LA PADRONA DELLO STALLAZZO ARRIVAVA IN BICICLETTA
Quando arrivava in bicicletta da Buscate la padrona dello Stallazzo (uno dei tre cortili citati) i ragazzi del paese, che allora giravano tutti a piedi scalzi, scappavano nelle campagne perché avevano paura di essere investiti dal velocipede che vedevano come una macchina straordinaria e pericolosa…
AL STRASCE’
Da Turbigo arrivava a Malvaglio ‘al strascé’ con la carretta. Si chiamava Riccardo e ritirava dalle donne gli stracci e in cambio dava delle spolette di filo, aghi ed elastici.
La mamma – continua Marzorati – mi disse che la filanda fu aperta nel 1906 (attualmente è in fase di ristrutturazione) e che, nell’occasione, capitò una disgrazia. Un ragazzo stava giocando con una palla di stracci quando è andata in mezzo ai piedi di un cavalloche si è imbizzarrito e ha colpito il ragazzo alla testa, uccidendolo.
Del Rusconi mia mamma ne parlava male. Diceva che mandava gli operai a piedi a prendere la foglia dei gelsi sulle coste di galliate, poi la tagliavano bella fine e la davano ai bachi. Quando andò via fece una predica in paese: ‘Mi a mangi anca mo’ un sarac al dì, voi invece lo dovete mangiare in tre’.
LE FONTANE DELLA VALLE
Le prima fontana da Malvaj è quella del ‘Cuore’. Dopo, di fronte alla strada che portava alla Casa Rossa, c’è una rongia che è chiamata ‘il lavatorio di Robecchetto’ perché il terreno era delle parrocchia e le donne andavano lì a lavare i panni. Andando avanti ci sono ancora due fontane dentro le quali – a quei tempi – piantavano tini per raccogliere l’acqua fresca da portare al conte Arese.
LA CASCINA-COMUNE DI INDUNO
I vecchi dicevano che c’era la ‘Stra Risa’, un cunicolo che partiva dall’interno del palazzo e arrivava fino alla Villa Clerici di Castelletto. Nel 1936 i Ghezzi di Monza acquistarono Induno. La cascina era circondata da boscaglie e la bonifica fu realizzata con fondi messi a disposizione dal fascismo. Così nacquero le marcite in valle, mentre in alto c’erano i campi e greggi di pecore. I vecchi dicevano che la sede del Comune di Induno era nel palazzo e sopra c’erano le carceri.
LA CASCINA GRAZIELLA
Così chiamata perché questo era il nome della prima figlia del Ghezzi, mancata improvvisamente
LE COSTE DI MALVAGLIO
Mio zio faceva il campé per il conte Arese. Sulle terrazze della costa era coltivato il baragioeu, mentre in quasi tutti i terreni erano piantati dei gelsi, perché un terreno senza queste piante – che producevano la foglia per i bachi – non valeva niente. Mio zio mi raccontava che facevano dei buchi per terra dove nascondere i grappoli di uva che di notte andavano a prelevare ad onta dei guardiani del conte.