TURBIGO – Il nostro Angelo Paratico da trent’anni a Hong Kong, autore del recente successo editoriale in cui si ipotizza che la madre di Leonardo da Vinci (libro recensito dai media internazionali e citato recentemente anche da ‘French Magazine’) fosse una schiava cinese, ha recentemente pubblicato sul Blog di Dino Messina il seguente interessante articolo che mettiamo a disposizione dei nostri lettori.
Ogni giorno le drammatiche immagini che appaiono in televisione, di un intero popolo in fuga dalla guerra e in marcia in Europa ci turba e ci preoccupa. Questa è una tragedia che ci pare nuova, che non avrà mai termine. Eppure nel mondo antico questo è accaduto molte volte, per esempio con le tribù germaniche spinte dagli unni che le premevano alle spalle o, in un’epoca a noi più prossima, durante le fasi finali della II Guerra Mondiale.
In certi casi, in passato, il nefasto impatto dei fuggiaschi sui paesi che li accoglievano è stato usato scientemente, come arma offensiva. Maestri in tale tecnica furono i mongoli di Gengis Khan (1162-1227) dei veri specialisti nell’uso del terrore per esagerare la propria forza e per nascondere l’esiguità del proprio numero. Nel mese di aprile del 1241 i mongoli, comandati da Subutai, liquidarono un grosso esercito ungherese non lontano da Budapest. Con sé avevano degli ingegneri cinesi che costruirono delle bombe che furono lanciate con catapulte sul nemico, che ne fu terrorizzato. Tale episodio segnò il primo uso dell’artiglieria in Europa e solo pochi giorni prima una loro colonna aveva distrutto un esercito tedesco-polacco a Leignitz, comandato da Enrico II di Silesia. Dopo essere entrati nella capitale ungherese raccolsero nella piazza principale più di cento giovani vergini: ragazze di 14-18 anni e senza alcun annuncio o avvertimento estrassero le spade e le decapitarono tutte. Una tecnica questa che ricorda i video del califfato islamico… I fuggiaschi, una volta giunti nelle città d’accoglienza, raccontavano questi episodi orrendi, che intaccavano il morale dei difensori e ne riducevano le scorte alimentari.
La gran parte dei disperati che ora vediamo muoversi in Serbia, diretti in Ungheria, sono perlopiù siriani e afgani che sfuggono a una guerra feroce. In braccio tengono i propri bambini e ciò che ci colpisce sono i loro capelli biondi, la loro pelle chiara e loro occhi verdi e azzurri. In qualche modo possiamo dire che molti di loro hanno il DNA di nostri antenati celti. La parziale comunanza del nostro patrimonio genetico credo sia dovuta solo in parte alla spedizione di Alessandro Magno sino a Samarcanda e in Afganistan: un maggiore apporto deriva da infiltrazioni celtiche, originarie da quella che oggi vien detta cultura di Tène – dalla omonima località sul lago di Ginevra – che fiorì durante l’età del ferro e che interessò anche la Valle del Po.
L’equivalente italiano di Tène può dirsi la civiltà di Golasecca, nella valle del Ticino, adiacente alla pista dell’aeroporto della Malpensa e che fu condivisa con il sud della Germania, l’Austria, la Slovenia e parte della Francia. Questi popoli celtici, noti come Galli, in qualche modo riuscirono a coalizzarsi in nazione inviando ambasciatori ad Alessandro Magno nel 335 a.C.. Tornarono poi indietro descrivendo ai propri concittadini le meravigliose terre traversate e fu così inevitabile l’invio di formazioni armate per tastare il terreno.
Nel 298 a.C. tentarono una vera e propria invasione della Macedonia e della Tracia, che non andò come speravano. Nel 280 a.C. ci riprovarono, inviarono un’armata forte di 280mila soldati, con al seguito le proprie famiglie. Dapprima le cose andarono bene: riuscirono a sconfiggere il re macedone Tolomeo Keraunos che, preso alla sprovvista, fu catturato e decapitato. I greci li chiamarono Galati, da ‘galli’ e dopo la vittoria marciarono su Delphi, ma la loro tecnica bellica non era avanzata come quella greca, con le falangi e con l’uso della flotta. I galati furono sconfitti da Antigono II Gonatas nella battaglia di Lysimachia. S’arresero e gli fu concesso di stabilirsi in Asia Minore dove formarono dei nuovi, labili, regni, fin quando concentratisi nel centro della attuale Turchia – Ankara era la loro capitale – furono sconfitti dal generale romano Cneo Manlio Vulso nel 189 a.C. e da allora divennero fedeli alleati di Roma, mantenendo inalterati i propri costumi e il proprio linguaggio. San Girolamo (347 – 420) notò che nel V secolo dopo Cristo i Galati di Ancyra parlavano la stessa lingua dei Galli di Treviri sul Reno!
Per risolvere il problema di questa immigrazione selvaggia l’Europa dovrebbe intervenire in maniera unitaria e non permettere a ogni singolo Stato di muoversi in modo indipendente dagli altri e senza coordinamento. Se i cinesi invadono Portland non è un problema solo dell’Oregon ma degli Stati Uniti.
Il maggiore ostacolo – inutile nascondersi dietro a un dito – è il loro credo religioso che renderà problematico, o addirittura impossibile, il loro inserimento in Europa.
Eppure, come fattore mitigante, ricordiamoci che tutto sommato questi sono dei ‘lumbard’ che vogliono tornare a casa.