Fantasmi che affiorano dalla memoria a notte fonda, una malattia dei vecchi. Luigi Zaro l’avevo visto l’ultima volta a Oleggio, mentre si gustava la pizza della ‘Rosa dei Venti’ con una ragazza. Ci siamo salutati, ma non c’era modo per chiacchierare. Prima, al tempo di ‘Ticino mese’ (1985-90), il mensile che registrava l’attualità e la cultura dei paesi della riva sinistra del Ticino, era la voce di Lonate e, a quei tempi, la stampa ‘locale’ aveva un suo pubblico. Ogni sabato andavo a casa sua a ritirare i pezzi da pubblicare e in quei sabati pomeriggio c’era il tempo per chiacchierare, in particolare della storia del nostro territorio. Poi, con la chiusura di ‘Ticino mese’, ci siamo persi di vista fino all’incontro casuale di Oleggio. Qualche tempo dopo, abbiamo letto una prece dei suoi amici sulla prima pagina del libro del ‘Gaggio’ (un nome che è diventato un grido di battaglia nella guerra contro la Terza Pista di Malpensa). Stava collaborando a scrivere la storia di quel tratto di strada che da Lonate porta al Ticino quando un tumore ha stroncato la sua giovane vita. Noi l’avevamo ‘scoperto’ leggendo un suo racconto dal titolo, ‘La Piena’, su due fogli scritti a macchina, che abbiamo conservato e che ripubblichiamo:
“La piena che portò via Cà della Camera fu nel 1868. Le acque arrivarono da tutte le parti ed il prete, dal pulpito paragonò la loro furia ai cavalieri dell’Apocalisse. La conclusione era oltremodo scontata: “I peccati del mondo, i piaceri…”. Tutto questo contrastava con la vita cristiana e Dio si vendicava. Qualcuno in vena di spirito disse sul sagrato, guardando la valle e i campanili del Piemonte che, per i peccati di quattro cascine, il castigo era un po’ troppo.
Il 4 ottobre 1868, oltre a distruggere gli argini del Naviglio e Cà della Camera, la piena distrusse non poche coscienze, più che la Riforma Protestante prima e il socialismo poi.
Ma le inondazioni e le piene non erano prerogativa della valle e del grande fiume. Infatti, a est del paese (Lonate Pozzolo, ndr), tra campagna e vigneti, scorreva e scorre tuttora un rivoletto dal nome altisonante di Arno.
‘Fluvius Arne’ dicono i documenti antichi, dunque fiume. Certe volte i documenti antichi sbagliano e il torrentello qual era e qual è ancora, era alquanto bizzarro, perché prima di tutto essiccava più d’inverno che d’estate e per un torrente questa è la prima bizzarria. Poi non aveva una foce e dopo un lungo percorso si perdeva nei boschi di Santa Corona. La terza bizzarria, alquanto ignobile, consisteva nel fatto che a volte rompeva ogni riparo e straripava coprendo di ghiaia la campagna.
I contadini di quel tempo, alquanto turbolenti, costruivano argini, accendevano candele propiziatorie, ma inutilmente. Fluvius Arne, forse per vendicarsi del suo declassamento a torrente. Ogni anni faceva la sua straripatina. Furono chiamati ingegneri e illustri studiosi al suo capezzale; ma a dir il vero ben pochi capirono la causa dei frequenti straripamenti. La causa (e lo disse un illustre ingegnere dopo un mese di studio) era un risvolto che si sviluppava ad angolo di 75° in località ‘Bolisana’: “Le acque in piena che provenivano in linea retta, non avendo sfogo, andavano a sbattere ad alta velocità contro l’argine della ‘Bolisana’ e il più delel volte debordavano”. La rettificazione dell’alveo fu fatta nel 1887 con la soddisfazione di tutti, dopodiché il torrente scivolava leggero su una nuova sponda e mansueto se ne andava a casa del diavolo nei boschi lugubri e scuri di santa Corona.
Sennonché un contadino, tale Alceste Regalia, il 26 marzo 1891, passando su un ponticello che attraversava il torrente esclamò: “Non essendo più alta la sezione trasversale…”, ma non poté proseguire la frase inghiottito come fu dalle acque del torrente. L’Arno, per fare una beffa all’ingegnere, straripò ancora, formando un nuovo letto ed arrivò in paese (circa cinquant’anni prima aveva attraversato longitudinalmente anche Turbigo, dal confine con Castano fino al Naviglio ndr) tra la meraviglia della gente che non credeva ai propri occhi…”.
FOTO Il Ticino a Tornavento in una incisione ottocentesca. Si vede a destra la Cà della Camera