Non ci credo più nella ‘giustizia’ per averla conosciuta da vicino ed aver visto la paura che agita il mondo della politica quando dice di voler riformarla, non riuscendo a farlo, rimanendo così in balia di Piemme politicizzati.
D’altra parte, quando qualcuno decide di arrestare un uomo senza processo, siamo nel Medioevo.
“Non ci piace” – come dice il nostro nipote Giorgio – che abbiano gettato in gattabuia un sindaco del Castanese, anche perché un fatto del genere è già avvenuto 22 anni fa, con un risultato devastante per il paese e per gli uomini che sono stati impigliati. Una rete che è stata gettata ad Arconate, da quell’odio che Giotto ha rappresentato nella cappella degli Scrovegni di Padova: una serpe che esce dalla pancia e mangia il cervello. Sempre, in queste ‘fauste’ occasioni, i benpensanti ‘cattocomunisti’, che ormai si sono infiltrati dappertutto, non imprecano (si limitano retoricamente a dire che la ‘giustizia’ deve fare il suo corso, anche di fronte a situazioni abnormi), ma non riescono nemmeno più a dire una preghiera.
LA STORIA. Il 22 giugno 1993, la Procura di Milano ordina l’arresto dell’allora sindaco di Turbigo, Roberto Lassini (il penalista che oggi difende Mario Mantovani), di chi scrive, insieme ad altri, con un semplice pezzo di carta firmato da un Pm. In internet (dove non si cancella mai niente) c’è ancora l’articolo del ‘Corriere’ che ricorda il misfatto, ma non dice che, otto anni dopo, tutti gli arrestati furono assolti con la fatidica formula: “Il fatto non sussiste”. Una vergogna che è stata ricordata recentemente a Turbigo dagli uomini della sinistra storica – in occasione del ventennale dell’evento – con l’invito a un magistrato di ‘Mani Pulite’ a venire in paese a raccontare l’epopea… Noi, la storia, l’avevamo documentata in un libriccino, del quale pubblichiamo la copertina, dal titolo ‘Tre Settimane e mezzo’ (supplemento a ‘Città Oggi’ del 22 dicembre 1993) e qui sotto ne facciamo un breve riassunto, disposti a fare avere copia della pubblicazione a chi fosse interessato a conoscere com’era la ‘giustizia’ allora e come non sia cambiato niente oggi.
SI SPOGLI, ANCHE LE MUTANDE! Segue una procedura precisa chi entra in carcere che inizia all’Ufficio Matricola. Si svuotano borse e tasche davanti agli agenti. Uno di questi inforca un paio di guanti di plastica trasparente e ispeziona i vestiti, mentre le parti più intime vengono esplorate visivamente per controllare l’esistenza o meno di droga. Una grande umiliazione!
L’INGRESSO IN CELLA. San Vittore è un carcere orrendo, diviso in un certo numero di raggi. Celle umide e sporche con il bagno delimitato da una porta sgangherata, al punto che i ‘bisogni’ si fanno in compagnia! Nessun contatto con il mondo esterno e una lettera di solidarietà può contare molto sul morale…
L’INTERROGATORIO DEL GIUDICE. Alla presenza dell’avvocato, del Pm, si svolge – di norma il giorno dopo l’arresto – in cosiddetto interrogatorio di garanzia nel quale il Gip chiede all’imputato di raccontare la sua versione e, di solito, conferma quanto deciso dal Pm.
LA VITA NEL CARCERE. Alla prima domenica di miseria in carcere, segue il colloquio settimanale, sempre previo autorizzazione del magistrato che spesse volte non è così puntuale, al punto che il familiare aspetta, aspetta (…). Arrivano i primi pacchi che la moglie consegna alla privativa Filangeri poco prima del colloquio e che il carcerato riceve più tardi: “Il salame passa al vaglio se è tagliato a fette, il sugo non può essere liquido….ci sono delle regole ferree da rispettare. La questione è sempre quella della droga che può essere infilata ovunque.
LA VITA IN CELLA E IN ‘ARIA’. Esistono delle leggi non scritte che vengono acquisite con il tempo. Per la prima settimana il ‘novizio’ viene lasciato in pace, sprofondato nelle sue miserie, dandogli la possibilità di respirare durante le poche ore d’aria Poi deve contribuire alla vita in comune…
TRE SETTIMANE E MEZZO. E’ il tempo necessario affinché il Riesame (Tribunale della Libertà) prenda in considerazione l’istanza presentata dall’avvocato di fiducia. Prima però, di solito, l’avvocato presenta delle istanze al Gip per la revoca della custodia cautelare in carcere, che naturalmente vengono respinte.
Auguro a Mario Mantovani – com’è successo, per fortuna, a noi 22 anni fa – che il Tribunale della Libertà gli revochi la custodia cautelare in carcere, semplicemente perché non ha senso.