Pubblichiamo il testo-intervista a Giampietro Comolli, già diffuso su alcuni giornali nazionali, in merito al tema mediatico di questi giorni:
“Medici tibi fiat moderata diaeta” si legge fra i motti della Scuola Salernitana di medicina già nel IX° secolo d.C. ad indicare quanto l’alimentazione fosse un supporto terapico, una forma concreta per prevenire le malattie, un coadiuvante terapeutico nel caso di determinati malanni soprattutto infiammatori, debilitanti, degenerativi. Segno evidente di conoscenza ed esperienza di fitoterapia già avvita e di uso farmacologico degli alimenti. Galeno stesso, noto medico latino-greco, consigliava per le ferite della carne umana l’uso di decotti di vino e bollitura di garze per la fasciatura in modo di accelerare la guarigione. Gli Etruschi stessi, nella valle del Po, furono i primi a salare nel vino la carne e poi a farla essiccare al sole , più che cuocerla direttamente sul fuoco. San Colombano stesso, nella potente e grande abbazia di Bobbio del VII° sec d.C., diede indicazioni chiare ai monaci di essiccare cosce intere di maiale al sole prima di consumarle come per i pesci da infilare in spaghi da appendere alle pareti dei muri, come pure diede ordine di tagliare a grandi pezzi tutte le carni, senza distinzione di colore, da “insaccare” solo con sale e vino e erbe speziate in budelli naturali, cuocendo le carni per lungo tempo in acqua, facendole bollire lentamente. Le stesse popolazioni campane antiche, sempre oltre 1000 anni fa ( dieci secoli), indicavano che la migliore e sana cottura della carne di manzo e maiale ( carni rossi, ndb) era quella di farle cuocere avvolte in foglia di vite o di cavolo, sia su piastra che meglio in bollitura. Non per niente Unesco ha stabilito che il Cilento (Campania e Pollica in particolare) siano punto di riferimento della Dieta Alimentare Mediterranea, come patrimonio Umanità. Lo stesso si può dire della valle del fiume Po, ovvero di parte della pianura padana, che da secoli è l’incrocio fra dieta meridionale europea e dieta continentale, unico simbolo concreto che pone le carni rosse e bianche nella propria dieta principale con molte verdure, legumi, ortaggi, latticini e frutta abbinata. Questo a indicare che fra tutti gli alimenti, se non ricchi di presidi chimici contro malattie endemiche, non esistono cibi cancerogeni o produttori di malformazioni o di neoplasie, ma che è la quantità del consumo e la non curanza della cottura o l’eccesso di bruciatura della carne che può causare danni all’organismo animale. Due esempi in antitesi ma che chiariscono il tema vero, e non gli allarmismi gratuiti: pensiamo a cosa è successo nel XV° secolo in America e sud America alle popolazioni che da anni mangiavano solo cibo proveniente dal mais, si estinsero con la pellagra. Quanti neonati nel medioevo furono dichiarati morti per l’eccesso e prolungato consumo di latte non materno. Il vino stesso è un alcolico pericoloso, ma in dosi e in momenti giusti e corretti è ancora oggi un antiossidante naturale e biologico importantissimo contro colesterolo cattivo, infiammazioni interne, ipertensione, vecchiaia delle cellule arteriose.
Credo che l’OMS abbia fatto la pipì fuori dal vasino, o più correttamente i giornali del mondo hanno colto solo in parte il risultato della ricerca per “FARE” audience e battage in concomitanza con la chiusura di Expo Milano, puntando il dito contro l’alimento, tralasciando o emarginando il vero fattore soggettivo del danno recato, ovvero: confezionamento, arrostitura, uso della fiamma. << L’Italia è fuorigioco o fuoriallarme per la sua storia alimentare ricca e culturale, ma anche per un consumo di carne dimezzato rispetto a Usa, Australia, Argentina, Cile, Canada, Irlanda (da 100 a 130 kg/anno/procapite, l’Italia intorno a 70 kg). Se il barbacue si usa 3 volte all’anno è un conto, diverso è 3 volte alla settimana oppure 10 volte al mese. Inoltre, come dato oggettivo, il consumo di 100 grammi di carne in scatola o hot-dog o wurstell o salsiccia ogni giorno, tutti i giorni, il rischio di neoplasie all’intestino o mutazioni neurali è del 40%, scende al 7/8% se si mangia, tutti i giorni, lo stesso quantitativo di carne rossa non trattata. L’uso di carne affumicata è assimilabile alla griglia. Sono d’accordo con il prof Andrea Strata quando asserisce che la produzione di “ammidi” (per questo si predilige la bollitura della carne rossa, l’uso di olio di oliva e non burro per la cottura di tutte le carni e uova) con l’annerimento di alimenti, compreso biscotti e pizza, è la causa del problema, non la carne rossa di per se stessa. Ha ragione Giorgio Calabrese quando dice che le alte ricerche scientifiche non spiegate al volgo della comunicazione, possono cadere nel terrorismo psicologico. Ha ragione il ministro Lorenzin quando asserisce che bisogna evitare allarmismi. Sicuramente l’Italia si può considerare, come altri paesi, solo molto ai margini del problema, superabile con più cultura, più conoscenza, più civiltà. Quello che avrebbe dovuto fare Expo Milano! Sarà una vera eredità di Expo? L’Italia ha colto l’occasione di Expo per chiamarsi fuori dalla incoltura alimentare? >>