Questo libro é una raccolta eterogenea di racconti, scritti da Cesare Pavese tra il 1940 e il ’45; ognuno dei quali pare sconnesso gli altri solo apparentemente. Molto breve, ogni racconto, sembra a se’ stante. Se non fosse che lo stesso Pavese ci svela una chiave di lettura assolutamente importante e significativa. Ossia, egli, ricerca sempre i ricordi della sua infanzia: crede infatti (e non é l’unico a crederlo), che nelle esperienze dell’infanzia e adolescenza, vi siano le radici dei mali dell’adulto.
Oggi, può essere un’idea abbastanza comune, ma non lo era nel ’42 quando lui lo annotava intimamente sul suo diario, dove era chino a ricercare cosa ci fosse nella sua infanzia ad averlo reso quello che era, indagando paure e limiti. Vero è anche che, qualche racconto é più indipendente dagli altri ed ha un suo messaggio, una sua singolarità. Ma il fil rouge si sente per tutta la durata della lettura.
Vi si trova un Pavese genuino se non perfino ingenuo, un ragazzo davvero come tanti altri, che vive come tanti altri i piccole ebrezze, di fantasie, di significati personalissimi eppure riesce ad investirci di interesse col suo modo profondo di raccontare anche le emozioni più ovvie, a prima vista. Lo stupore, la passione, l’imbarazzo..
Tutto é unico e prezioso, anche i particolari più futili, anzi questi maggiormente. “Ma io ormai non potevo più perdonarle di essere donna: una che trasforma il sapore di vento in sapore di carne“…