TURBIGO – Nel clima di ‘italianità promosso dalla ‘Festa del Repubblica’ e, vista anche la recente nascita dell’associazione ‘3 giugno 1859’, ci è sembrato giusto fare una proposta nei seguenti termini:
“Perché, con una delibera del Consiglio Comunale, non si chiede al Ministero della Difesa la concessione di un medaglia d’onore al paese che, per iniziativa del parroco don Pietro Bossi (1844-1891) e del medico condotto, dottor Brumatti, facilitò il passaggio delle truppe franco-piemontesi nella notte del 2-3 giugno?”
Seguì il ‘Combattimento di Turbigo-Robecchetto’ (che riportiamo qui sotto), uno dei primi scontri vittoriosi della seconda guerra d’indipendenza contro gli austriaci.
Inoltre, Turbigo diede un solido contributo all’acquartieramento e al bivacco delle truppe francesi e pagò il prezzo della distruzione delle colture causata dal passaggio dei soldati nella campagna. Furono requisiti e macellati otto buoi per le truppe del generale Mac Mahon e, oltre alla carne, fu messo a disposizione fieno, legna da fuoco, grano turco per i combattenti che passarono la notte e il mattino successivo nel territorio turbighese, preparandosi a quella ‘Battaglia di Magenta’ (diecimila morti) che rappresenta il primo tassello dell’Unità d’Italia.
CARLO AGRATI, CRONISTA DE ‘L’ITALIA’ NEL 1932 (23 ottobre) venne in paese e raccolse preziose informazioni che sono arrivate sino a noi. Riportiamo la parte riguardante il ‘Combattimento di Turbigo’ che un turbighese – che raccoglie tutto quanto parla di Turbigo – ci ha fatto avere gentilmente in fotocopia.
Il generale francese Patrizio di Mac Mahon, sbarcato pochi giorni prima a Genova, con un forte corpo di tiragliatori algerini, era accorso sul Ticino a raggiungere gli alleati, che avevan di recente varcata la Sesia, dopo le gloriose giornate di Montebello e di Palestro. Occorreva ora passare in Lombardia e Turbigo si ritenne il punto più indicato per la strettezza del fiume e per essere egualmente distante dalle truppe di Gyulai, ch’era ad Abbiategrasso, e da quelle di Urban che intorno a Varese tentava contro Garibaldi la rivincita di San Fermo.
Il passaggio del Ticino fu deciso per il mattino del 3 giugno perciò nella notte si era gettato un ponte di barche. Sino a pochi anni fa qualche turbighese ricordava ancora come la sera innanzi una grande cannonata aveva messo tutti in indescrivibile allarme temendosi la battaglia già impegnata alle porte del paese. Invece con quel colpo s’era lanciato col proiettile dalla riva piemontese una robusta fune, fissata a terra da un capo che pochi uomini passati al di qua avevano poi fissato dall’altro capo sulla riva lombarda, col che il ponte fu rapidamente compiuto. Nella notte stessa passò una prima brigata cui tenne dietro al mattino l’intera divisione di Mac Mahon, il quale, col solo seguito dei suoi ufficiali d’ordinanza e di una piccola scorta, volle subito spingersi fino a Robecchetto, a un chilometro e mezzo da Turbigo, ove giunto salì sul campanile per esaminare il terreno circostante. Ma appena giunto sulla cima ne discese a precipizio: aveva scorto, ormai a qualche centinaio di metri soltanto, una forte colonna austriaca che avanzava a gran passo sul paese.
“Quel giorno – scrive uno storico – la fortuna d’Italia stette sospesa sul campanile di Robecchetto” e, infatti, pochi minuti dopo che Mac Mahon n’era uscito al galoppo, vi entravano i tedeschi. Che se fosse caduto prigioniero, colui che il dì dopo doveva essere creato maresciallo di Francia e Duca di Mgenta, le cose – anche per noi – sarebbero andate diversamente. Rientrato a Turbigo egli ordinò che si movesse subito contro il nemico, e la tradizione ricorda il chiassoso orgasmo e le variopinte divise e gli strani costumi di quella gente straniera che aveva seco perfino numerose scimmie e che gli ufficiali francesi arringavano in arabo. Poco dopo il fuoco cominciava mentre Mac Mahon osservava l’azione dal colle di Turbigo, e vuolsi fatta da lui una breccia nel sottotetto del castello, che ancora oggi si conserva com’egli l’avrebbe lasciata.
Gli austriaci perdettero, nel breve ma violento scontro cui assistettero i due Sovrani alleati, un centinaio tra morti e feriti e dinanzi ai ‘turcos’ che entravano alla baionetta in Robecchetto e Malvaglio, fuggirono per Cuggiono e Marcallo verso Magenta, ove l’indomani avrebbero ricevuto il resto del carlino.
I francesi ebbero una quarantina di feriti ed otto morti: i primi di quelle migliaia che la Francia doveva poi lasciare generosamente al di qua del Ticino e che né Mentana né le astiose polemiche dovrebbero mai far dimenticare del tutto. Unico ufficiale caduto fu in tenente dei tiragliatori algerini Ernesto Carlo Vanechout, che dorme da allora nel cimitero turbighese. Per molti anni i genitori dell’eroe morto per la libertà di una terra straniera, vennero recando fiori sulla sua tomba e doni a coloro che l’avevano raccolto morente e pietosamente assistito, ma ora è gran tempo che la lapide nell’angolo di destra del camposanto, si logora senza fiori al sole e alla pioggia, sì che ormai s’è quasi fatta illeggibile anche l’iscrizione che le mie previdenti ospiti hanno con gentile ed opportuno pensiero ricopiata, onde almeno il nome di lui non vada perduto.
FOTO Il turcos. I tiragliatori algerini furono i protagonisti del combattimento di Turbigo avvenuto nel primo pomeriggio del 3 giugno 1859. La ‘figura’ è una realizzazione dell’associazione ‘3 giugno 1859’