TURBIGO – E’ in corso, molto a rilento, la raccolta firme per il Castello turbighese all’interno dell’iniziativa ‘I Luoghi del cuore del Fai’. Il Corriere Altomilanese potrebbe dare una mano al fine di raggiungere quelle duemila firme che darebbero il senso all’iniziativa di alcuni volenterosi.
A tal proposito pubblichiamo la descrizione di Carlo Agrati, un cronista de ‘L’Italia’, che venne in paese circa un secolo fa e accolto da due castellane (sorelle Grassi) descrisse lo stato del maniero.
“All’angolo del Castello che dà sulla piazza, un torrione tozzo e quadrato inizia la strada pianeggiante tra il fianco della chiesa e le mura dell’antica fortezza dei signori di Turbigo: strada deserta e silenziosa che ha conservata intera l’impronta d’altri tempi. Per un certo tratto, circa un centinaio di metri, due solo porte massicce e ferrate danno sulla via, e parrebbe di dovervi vedere a guardia il Griso o il Nibbio e scorgervi i chiodi con cui vi si appiccavano i falchi. In fianco di una di quelle porte pende una catena, che io tiro con forza, destando all’interno un suono di campana lontana, quasi lugubre in quel silenzio in cui pare che tutto dorma da secoli. Mi apre con uno stridere di catenacci uno chauffeur – un autista dirò meglio per non peggiorare la bilancia commerciale con inutili importazioni – e, appena dentro, un’automobile rinforza la nota stonata pel suggestivo ambiente. Addio bravi di don Rodrigo e dell’Innominato. Però l’illusione ritorna quando appaiono due giovani castellane che di un tratto mi richiaman alla memoria certe vecchie fiabe di palazzi incantati: verrebbe la tentazione di far un bel saluto alla Cyrano, con la sinistra sull’elsa della spada e roteando con la destra un gran cappello piumato, se invece del brando e del cappello del Sir di Bergerac
Non avessi un volgarissimo cappello a cencio e un malinconico ombrello.
Parlammo dapprima del più e del meno e girammo per sale e terrazzi e cortili, e visitai il giardino che scende a mezzodì in una piccola valle dove scorre la ferrovia all’ombra d’una gran cava di ghiaia e di sabbia. E fu solo parecchio tempo dopo, quando le ospiti gentili mi dissero che il castello appartiene da una quarantina d’anni alla loro famiglia dalla quale fu restaurato così come oggi si vede. Mi parlarono dei proprietari passati, gli Antongini e i Secco Suardi, fu solamente allora che mi tornarono in mente i due Santi che mi feci ardito di chiedere se dei Corio non restasse più nulla. Purtroppo mi risposero di no: più nulla, neanche la memoria.
Qualche misero avanzo nei sotterranei proverebbe che già i Romani avevan qui un posto di guardia, ma poi per molti secoli è il buio più fitto. Si sa per certo che verso il Mille i Milanesi avevano a Turbigo un presidio a guardia del fiume e par certo che questo presidio avesse stanza proprio su questo colle. La tradizione dei Corii feudatari di questi luoghi dv’esser nata poco dopo quando si formarono i cognomi: quello di Corio verrebbe secondo alcuni da <Coira nei Grigioni, secondo altri dai Curii di Roma. Assai più tardi passarono di qui i Francesi, rinnovando a quanto pare le gesta dei barbari, poiché una cronaca del secolo scorso enumera le sventure di Turbigo in un solo cinquantennio con questo elenco spiccio, ma eloquente: Turbigo fu devastato dai Francesi nel 1796; dalle cavallette nel 1826; dall’Arno nel 1836; dal fuoco nel 1840. Ma altri Francesi arrivarono nel 1859 con migliori intenzioni ed a loro il pese deve l’onore di veder battezzata con il proprio nome un delle principali arterie di Parigi.