Non scelsero di andare in guerra, ai più fu imposta, ma non si tirarono indietro e dissero Presente!
Pensandoci un po’ mentre il Giulio ci racconta le sue avventure o disavventure, non sono stati i grandi Generali a fare le guerre, sono stati i singoli individui che alcune volte loro malgrado hanno fatto il loro dovere patriotico non sottraendosi alla chiamata, giusta o sbagliata che sia.
Incontriamo Giulio nella sua abitazione a Magenta, oggi ha 95 anni, lucidissimo e autosufficiente, tanto da non volere nessun aiuto esterno, ci sediamo e va subito al sodo, sa che siamo lì perché ci racconti di quel triste periodo.
Riceve la chiamata alle armi nell’estate del 1941, destinazione fronte orientale, sul fiume Don, dove il nostro esercito combatterà la famosa battaglia di Nikolaevka il 26 gennaio 1943. In quel periodo però Giulio non si trova in Russia, con un congelamento ai piedi è stato mandato in un ospedale militare a Rimini e dopo 6 mesi di convalescenza viene spedito in Sicilia a fronteggiare l’imminente sbarco alleato.
Qui viene fatto prigioniero dagli americani e inviato in Tunisia dove comincia il suo lento peregrinare che lo porterà nel Settembre del 1945 a tornare dalle porte di Berlino alla sua abitazione magentina.
Andiamo per gradi, gli chiediamo ti trattarono bene gli Americani come prigioniero: “sai in quel periodo dovevi conoscere l’arte di arrangiarti, io in Italia facevo il cameriere a quel tempo, cosi ebbi la fortuna di essere inserito come attendente alla mensa Ufficiali, da lì siccome il nostro gruppo svolgeva bene il servizio, non solo ci lasciarono sempre a lavorare in cucina, man mano che la Divisone Americana risaliva, noi con la divisa con scritto Prisoner li seguivamo, noi sempre semplici attendenti facendo il nostro lavoro. Cosi man mano che avanzavano anche noi li seguivamo”.
E cosi Giulio, dalla Tunisia va in Algeria poi in Marocco e poi con una tratta in nave arriva in Inghilterra. Li rimane qualche mese e dopo il D-Day anche lui, sempre seguendo da attendente gli Ufficiali Americani, non più da prigioniero ma da alleato, avanza con le divisioni americane: “sapevamo che la guerra non era finita, dopo l’8 settembre, eravamo loro prigionieri, ci chiesero cosa volevamo fare, scegliemmo di collaborare e visto che erano contenti del modo in cui lavoravamo ci fecero rimanere nello stesso posto fino alla fine della guerra”; ma la fine della guerra, Giulio la vide nel Settembre del ’45, dopo aver attraversato con le truppe, Belgio, Olanda e parte della Germania, da dove gli dissero che era tutto finito e poteva tornare a casa dopo 5 lunghi anni passati in giro per il mondo.
Gli chiediamo com’era Magenta al suo ritorno: “c’era molta povertà, si soffriva la fame, ho ripreso, abbiamo tutti ripreso a rimboccarci le maniche e lavorando e risparmiando, dopo circa una decina d’anni abbiamo raggiunto quel benessere che ci meritavamo”.
Giulio non è l’unico che ha fatto la guerra con cui ho parlato e sono da sempre convinto che non sono i Generali che fanno la storia, ma i singoli individui che con le loro piccole storie hanno, sono la storia.