TURBIGO – Nella seconda cappella a sinistra entrando della chiesa dei SS. Cosa e Damiano, è esposto il quadro di San Carlo Borromeo, una tela che fino all’intervento effettuato nel 1992 dal Laboratorio S. Gregorio di Busto Arsizio, raffigurava un’altra composizione. Lo abbiamo già scritto qualche giorno fa. Difatti, fino a tale data, apparivano San Carlo intento a comunicare San Luigi Gonzaga inginocchiato ai suoi piedi insieme ad altri personaggi: un chierico, due bimbi e due adulti in abiti neri dotati di gorgiere, così come voleva la moda del Seicento.
Dicevamo nel 1992, quando i restauratori cominciarono a ripulire la tela, si accorsero che il dipinto era la sovrapposizione di un’opera più antica. Si pose allora la questione su quale rappresentazione salvare e qualcuno decise di conservare quella più antica che andava apparendo dal restauro della tela: rappresentava la vedova di Paola Cusani Visconti di San Vito (+1623) che, accingendosi a ricevere l’eucarestia da San Carlo (figura questa che non fu interessata ad alcuna modifica) manifestava l’intenzione di dedicarsi a Dio. Tale volontà era messa a dura prova da una schiera di diavoletti dalle mani artigliate (nella foto), dall’aspetto animalesco, che cercavano di richiamarla alle tentazioni del mondo, ai piaceri di questa terra, mentre un piccolo angelo aggrappato alle sue vesti, tentava di sostenere la decisione della vedova.
Un dettaglio curioso, quello dei diavoletti, rappresentati secondo i dettami della Riforma Cattolica della seconda metà del Cinquecento, di cui il cardinal Flaminio Piatti (1550-1613) fu un forte propugnatore e che tale rappresentazione rappresenta una sorta di sigillo.
Paola Cusani Visconti di San Vito era moglie del signore di Somma Lombardo, il quale ebbe un particolare rapporto con la famiglia Piatti. In particolare, Niccolò Sfondrati, divenuto papa con il nome di Gregorio XIV, poco prima di morire (1591) conferì la Sacra Porpora all’amico di famiglia Flaminio Piatti.
Don Pietro Bossi, parroco di Turbigo dal 1844-1891, scrisse che la tela di San Carlo Borromeo – restaurata nella seconda metà dell’Ottocento dal pittore milanese Giuseppe Bergomi – fosse da attribuire alla scuola di Giulio Cesare Procaccini, ma secondo Federico Cavalieri – noto storico dell’arte di Busto Arsizio – tale attribuzione è molto improbabile.