TURBIGO – Che il turismo sia nel dna di Turbigo lo dice la storia, così come solo la memoria storica può valorizzazione un territorio. Un turbighese che raccoglie tutto quanto è stato pubblicato sul nostro paese ci ha fatto avere la fotocopia di una ‘visita’ avvenuta nell’ottobre 1932. Si tratta di una descrizione del paese firmata da Carlo Agrati e pubblicata su ‘L’Italia’ nella rubrica ‘Turismo in Provincia’ nell’ottobre del 1932.
Qui ci limitiamo a riportare le chiacchiere con Carlo Bonomi e con il parroco di allora, don Edoardo Riboni che già pensava alla nuova chiesa parrocchiale ed era indeciso se costruirla in su o fabbricarla in giò. Un altro tema del momento era quello delle reliquie dei SS. Aimo e Vermondo Corio, ricevute da Meda, che hanno dato il nome a diversi turbighesi nati in quegli anni.
“Dal castello si scorge tra l’altro una caratteristica e graziosa palazzina che mi dicono essere l’abitazione di Carlo Bonomi. L’artista ci accoglie con immeritata cortesia, accompagnandoci nella sua dimora ove ammiriamo tra quadri e sculture, i bozzetti di San Francesco, così bello nella sua aria ingenua e dolcissima. Da qui si gode il medesimo panorama che si ha dal castello sul quale si eleva l’enorme centrale termoelettrica, mentre si distinguono appena le case signorili dei tempi passati, ora adibite per lo più a abitazioni di coloni e d’operai. Fra esse quella che fu dei De Cristoforis e la Corte Nobile degli antichi feudatari, che è proprio ai piedi della scalinata che porta alla chiesa, quella che fu del cardinal Flaminio Piatti, il quale donò al paese natio la bella chiesa dei SS. Cosma e Damiano. Vi era annesso il chiostro degli Agostiniani Scalzi passato lui pure a più profana destinazione. Turbigo riconoscente ha chiamato col nome del suo illustre figlio la strada che dalla Castano-Galliate sale alla Chiesa. Alla quale mi dirigo anch’io con la guida del buon parroco che, domenica scorsa, con oltre duecento dei suoi parrocchiani, contribuì alla grandiosità di quella manifestazione di Meda in cui le reliquie dei due Santi Aimo e Vermondo furono portate per le vie del paese. La cerimonia si ripeterà qui con la stessa devozione se non con la stessa grandiosità, poiché il cardinal Schuster donò alla patria di Aimo e Vermondo Corio una parte delle loro ossa venerate, per le quali i buoni turbighesi avevan preparato una degna custodia in bronzo e argento. Ma queste ossa saranno le sole cose che qui ricorderanno i due nobili cacciatori di cinghiali. Lo stesso cardinal Federico, che pur diede reliquie ai Corio di Castano e a quelli di Bussero, nulla diede a Turbigo, ove non mi è proprio dato trovar traccia di loro.
L’ottimo parroco mi accompagna alla chiesa, che non ha nulla di speciale fuor della superba posizione. Però, mi dice, anche questo pregio lo perderà perché la chiesa è piccina e se ne vuol fare una più grande giù in basso. Che si volesse fare una chiesa nuova me l’aspettavo: figurarsi se Turbigo vuol fare eccezione alla regola! Ma giù in basso? Perché? Poiché su in alto non c’è spazio: bisognerebbe rimpicciolire il già non grande sagrato. Questo sarebbe un male, d’accordo, ma un male di gran lunga minore della rinuncia all’altura meravigliosa, dalla quale la casa del Signore appare dominante su tutte l’altre raccolte di sotto e sembra veramente tenerle sotto la sua protezione, come il pastore col gregge.
Io penso alla strana analogia della posizione naturale e dei problemi tra Meda e Turbigo, che s’aggiunge alla comunanza della tradizione dei Santi che s’accresce ancora dal fatto che se Meda ha dato i natali a Santa Felicina, qui si conserva il corpo di Santa Felicita. Di questa però si conosce soltanto che fu tolta dalle catacombe di Roma.
FOTO Immagine tratta da ‘La Leggenda di Aimo e Vermondo’ conservata alla Biblioteca Trivulziana di Milano, codice n. 509