Una cittadina al collasso per l’emergenza profughi. L’abbiamo toccata con mano martedì quando ci siamo recati al confine tra Italia e Francia per cercare di capire come stanno andando le cose.
E le cose non vanno per niente bene. Ieri non c’erano migranti sugli scogli. “Li hanno portati nella caserma per le procedure di identificazione”, ha spiegato un poliziotto in servizio al confine. La dogana è presidiata dagli Alpini della Taurinense.
Andiamo alla ex caserma, un edificio dove ci abitano ancora poliziotti italiani e francesi. Lo stato di allarme è massimo. Quando ci vedono arrivare almeno tre funzionari ci vengono incontro e chiedono subito i documenti. Temono i ‘No Borders’, il gruppo che tutela la presenza dei profughi.
Ma chi sono i ‘No Borders? “C’è di tutto in quel gruppo – dice un funzionario della Polizia di Stato – avete visto le armi che abbiamo sequestrato ieri? Ci sono anarchici di Milano e di Marsiglia. Non ci si può fidare di nessuno”. Vogliamo parlare con i profughi. Ne arrivano in quantità enorme a Ventimiglia. Ogni momento è buono. Alla stazione ci sono alcuni eritrei.
Un ragazzo di 20 anni ci racconta: “Non voglio rimanere qua, devo raggiungere Parigi perché c’è mia moglie. Ma i francesi non ci fanno passare”. La Francia li respinge. Passi il confine e arrivi a Mentone. Un metro di distanza e cambia il mondo. Tanti che fanno jogging da un confine all’altro. Mentone è zeppa di turisti. Ventimiglia è caotica, traffico infernale. Le vie di fuga però sono parecchie, non solo gli scogli. Si passa anche per le montagne. Qualcuno ci riesce, molti non ce la fanno. I sentieri sono zeppi di immondizia, luridi.
Alcuni dormono così, tra i sacchi di rifiuti. E provano la fortuna. “La polizia francese è anche sulle montagne e anche di notte – racconta una volontaria della Caritas – ne hanno bloccati tantissimi sulle montagne”. Alla stazione ci sono alcune famiglie eritree. Donne e bambini piccolissimi. “Only arabic”, dicono. Parlano solo in arabo.
Un ragazzo ci mostra i segni del coltello. “Li ho presi in Libia – dice – Is very dangerous in Libia. Dall’Eritrea siamo andati in Sudan, poi in Libia. Un inferno. Si rischia la morte in Libia. Poi siamo arrivati in Sicilia e a Milano, per arrivare a Ventimiglia. Anche io voglio andare a Parigi, non voglio rimanere in Italia”.
Il campo profughi è un’area dismessa (il Parco Roja) di proprietà delle Ferrovie messa a disposizione della Croce Rossa Italiana. C’è un sole cocente quando ci arriviamo. Ci sono gruppetti di sudanesi che escono e ci salutano. Sotto il sole che spacca il cervello alcuni ragazzi giocano a bigliardino. E’ pieno di giornalisti. Una televisione belga, altri colleghi della Repubblica Ceca e una giornalista del quotidiano spagnolo di Barcellona La Vanguardia. Il fenomeno ‘immigrazione’ interessa tutto il mondo.
Ad oggi non sappiamo come andrà a finire. I profughi hanno un cartellino che dimostra il loro status. Il cancello è sempre spalancato. Sudan Eritrea, Ciad, questi i paesi di provenienza. Ma soprattutto sudanesi. “Sull’età ci sono molte perplessità – dice l’addetta stampa della Croce Rossa – alcuni sono ragazzini e dichiarano tutti di essere nati il primo gennaio. Non lo sanno perché non c’è l’anagrafe al loro paese. Crescono nei villaggi e non vengono mai a saperlo”. Sono stati visitati. I medici non hanno riscontrato problemi.
Al campo profughi ci sono solo uomini che vivono in container (sono circa 80 i container) da cinque, sei posti. Aperto dal 16 luglio 1.300 sono state le presenze al Parco Roja. Un numero impressionante, al quale vanno aggiunte le famiglie. La Croce Rossa fornisce i pasti e l’abbigliamento. Alcuni hanno magliette stampate per la Suisse Gas Milano Marathon, sono quelle avanzate. “Non è certo una galera – continua – qui i ragazzi entrano ed escono liberamente”.
Anche li controlli serrati. Ci controllano i documenti almeno 5 o 6 volte. Forse di più.
Articolo: Graziano Masperi, foto: Francesco Maria Bienati