Con migliaia di profughi che arrivano in una cittadina di poco più di ventimila abitanti cosa possono fare i cittadini? Protestare con le istituzioni, come è giusto. C’è però un esempio stupendo di persone che non si limitano a questo, ma si mettono a fare. E, nel giro di un paio di mesi, hanno fatto tantissimo. La chiesa di Sant’Antonio di Ventimiglia è uno di questi esempi. Arriviamo e notiamo subito il fermento che regna in quella chiesa. Ragazzi di colore con donne e bimbi piccoli vengono ospitati in quel luogo. Sono quasi tutti di religione musulmana. Ma la religione non ha importanza. Sono tutti fratelli e si aiutano tra di loro. Mentre gli uomini sono stati trasferiti al campo della Croce Rossa del Parco Roja, le famiglie si trovano li.
“Qui ognuno ha un suo compito ben preciso – racconta Elisa, una delle volontarie. C’è chi aiuta in cucina, chi nelle pulizie, chi ha altre mansioni. Non si sgarra dai propri compiti”. Nessuno, ma proprio nessuno, resta con le mani in mano. Naturalmente c’è anche chi si occupa di tenere a bada i bambini e cerca di non far pesare la permanenza in un cosiddetto luogo di transito. Perché tutti vorrebbero lasciare Ventimiglia e andarsene in Francia. “Da quando la chiesa ha aperto ai profughi abbiamo ospitato circa 4.800 persone”, continua Elisa.
La stanchezza è tantissima, ma si spera almeno che ne vaga la pena. I volontari sono provati, ma hanno tutti il sorriso sulle labbra. Quello della chiesa di Sant’Antonio è un esempio bellissimo di integrazione religiosa. Alla recente festa di fine Ramadan hanno festeggiato tutti insieme, Cristiani e Musulmani a tavola. Quando usciamo i ragazzi del Sudan ci stringono la mano e ci salutano. “Good luck, a presto”.