TURBIGO – Ci sono due stirpi distinte che tramandano il cognome ‘Motta’ nel nostro territorio, il cui significato è chiaramente legato alla natura del terreno, cumulo, collinetta o simili.
LA PRIMA STIRPE proviene da Tinella (antico comune censuario confinante con il territorio di Nosate, oggi dimenticato) come ebbe a scriverci – al tempo di Città Oggi – una signora di Robecchetto che ne aveva sentito parlare:
“Quando eravamo piccoli non avevamo i mezzi per andare a Tinella e quando li abbiamo avuti Tinella non c’era più. Lì abitavano quattro sorelle Motta: Maria, Giovanna, Adele e Francesca. Maria aveva sposato Antonio Romorini ed era andata ad abitare a Turbigo. Dal matrimonio nacquero tre figli: Piero, Carlo e Mario(che divenne sindaco di Nosate, ndr).” Carlo Romorini sposò Giuseppina Chiodini Berra dalla quale ebbe una sola figlia, Carla, che è la signora che ci ha passato le informazioni. I Motta furono proprietari del primo molino che la roggia molinara fa ruotare al Ponte di Castano e ancora oggi posseggono vaste proprietà in quella lingua di terra che separa il territorio di Turbigo da quello di Nosate. Inoltre il geometra Motta è stato presidente per decenni del Consorzio che unisce gli utenti della roggia. Infine, molti Motta sono stati eletti consiglieri comunali a Nosate a cavallo tra Ottocento e Novecento.
LA SECONDA STIRPE, che non ha niente a che fare con la precedente, proviene da Groppello d’Adda, frazione di Cassano d’Adda e della quale fa parte il nostro Erminio Motta (1937), un vero giacimento culturale della Turbigo che fu. E’ lui a dirci che suo padre Angelo (figlio di Annibale) e i suoi due fratelli provenivano dalla linea di confine tra il milanese e il bergamasco. Suo padre, sposando la Pierina Marcoli si insediò a Turbigo, mentre il fratello Giuseppe costruì la sua vita e diede vita al suo ceppo a Intra-Pallanza. L’ultimo dei fratelli Motta rimase a Groppello d’Adda dove continuò la sua vita.
Foto DI TINELLA, IL PAESE DEI MOTTA, E’ RIMASTO SOLO ‘UL SASS PASTUR’. Alcuni secoli fa, un giovane pastore, mentre pascolava il suo gregge nel territorio di Tinella, fu colpito da un fulmine. Era il 20 maggio 1771, Pietro Bono di Vione fu fulminato sul campo insieme a 36 pecore. Qualcuno lo ricordò con alcune parole scavate su una pietra di serizzo, chiamata dai locali “Ul sass pastur”. Recentemente ripulita da Ambrogio Milani, questa pietra ha dato vita a una pubblicazione: “La transumanza invernale delle greggi dall’Alta Valcamonica alle rive del Ticino”.