TURBIGO – Sabato 1° ottobre, alle 21, nella chiesa dei Santi Martiri Cosma e Damiano, si parlerà della sua storia millenaria e del restauro in corso della cappella di San Carlo Borromeo.
Di origine longobarda, l’oratorio fece parte di quella rete di luoghi sacri che delineava l’antica strada mercatoria che collegava i paesi dei laghi a Pavia. Lo documentano i ritrovamenti avvenuti: la necropoli di Via Monteruzzo che conteneva anche oggetti d’oro; quella, più antica, affiorata all’incrocio tra Via Fredda e Via al Palazzo e l’ultima (1988) venuta alla luce sull’alzaia del Naviglio Grande in occasione degli scavi della fognatura.
Con il tempo la chiesetta divenne il centro nevralgico della vita del Turbigh in Giò che si svolgeva in stretta connessione con quella del Naviglio Grande: i barconi carichi di cose e persone che andavano a Milano; i guadi dove arrivava e si scaricava di tutto (anche le colonne della chiesa di San Zenone di Castano).
Il cardinal Flaminio Piatti (1550-1613) la fece più grande, mettendo a disposizione – con lascito testamentario – i fondi per la costruzione dell’attuale chiesa adiacente all’antica presenza. La chiesa conventuale fu affidata agli Agostiniani Scalzi, un ordine religioso nato all’epoca della Controriforma (di cui il cardinale turbighese fu un grande propugnatore insieme a San Carlo e al Bascapè) che la arricchì notevolmente, anche grazie alle donazione dei morenti, per i quali i frati facevano a gara con i parroci turbighesi per assisterli durante il trapasso all’altro mondo. (1) Il convento fu soppresso all’inizio dell’Ottocento e nel 1817 ci fu l’asta degli arredi che spogliarono completamente la chiesa, mentre il convento divenne di proprietà privata (Oriani prima, poi Gualdoni, oggi Vezzani).
In occasione del ‘Palio turbighese’ (1984) avvenne la riscoperta della storia locale e divenne di pubblico dominio il fatto che – fino all’Unità d’Italia – il paese era stato diviso in ‘Turbigo superiore’ (sorto sotto le balze del castello) e ‘Turbigo inferiore’. Gli uomini del ‘Turbigh in Giò’ erano per la maggior parte barcaioli e bracconieri che vivevano delle risorse del Ticino e del Naviglio Grande.
Tale presa di coscienza fece sì che il gruppo originario d’In Giò si diede da fare per restaurare la chiesa, che si trovava in precarie condizioni, chiedendo un contributo al Comune (250 milioni di vecchie lire) che rispose. In seguito, gli introiti della festa dei Santi martiri Cosma e Damiano (4° domenica di ottobre) sono stati sempre impegnati per la manutenzione dell’edificio ed ora si sta cercando di restaurare gli interni.
FOTO Lo stendardo processionale rappresentante i Santi Cosma e Damiano su fondo bordeaux, datato alla fine dell’Ottocento e restaurato nel 1991 dallo studio ‘Mondo Cristiano’ di Bergamo.
1- La proprietà dei beni della manomorta accumulate in un secolo e mezzo di vita del convento erano enormi. Gli Agostiniani Scalzi possedevano beni anche al di fuori del territorio turbighese. Molte terre erano possedute anche a Caravate ( ‘Caravate nel XVIII secolo’, Nicolini editore, 1990)