TURBIGO – Quelle discrete presenze, uscite dal pennello di anonimi e squattrinati pittori di campagna, che avremmo dovuto conservare se avessimo avuto ‘cultura’, sono state cancellate dal tempo, con qualche rara eccezione.
Loro, i pittori vaganti, si accontentavano di poco: un pane, un boccale di vino, un giaciglio per la notte. E anche il nostro popolo contadino non aveva grandi pretese artistiche, ma solamente il bisogno di esternare i segni di una fede necessaria a sostenere la fatica del vivere. Le miserie della vita, le angherie alle quali sono sempre stati soggetti i poveri, avevano fatto sì che avessero trovato la protezione della Chiesa. E così i miserabili, rifugiandosi nella preghiera e nella fede, incrementarono quella religiosità popolare che è andata perduta nel benessere moderno. Una religiosità popolare, documentata dai pochi affreschi murali sbiaditi rimasti ancora sulle facciate delle cascine o dei mulini del nostro territorio, una forma di difesa contro i flagelli e le epidemie sempre in agguato. Fu la pietà popolare a crearsi i suoi protettori, marcando con i segni della fede il proprio territorio: la croce sui campanili delle chiese, le edicole su determinati percorsi, le chiesette sulle strade in entrata dei paesi (a Castano Primo sono documentate).
Nei nostri paesi, fino a qualche decennio fa, bastava entrare in un cortile e trovare il segno di quella fede (classica era l’immagine della Madonna, del genere che pubblichiamo) che ha animato per un millennio la vita nelle nostre contrade. Anche la statua della ‘Madonna della Luna’, collocata recentemente al centro della piazza omonima a Turbigo, si inserisce in questa logica di cristianizzazione del territorio, tant’è che da quando è stata inaugurata la moltitudine di extracomunitari di religione mussulmana si è ridotta.