TURBIGO – Una concomitanza di cause favorevoli ha fatto sì che, il 1° dicembre, Lino Braga si incontrasse con Giuseppe Ferrari, suo compagno in quinta elementare nel 1948 a Turbigo. LA STORIA – Un’amica di chi scrive, aveva segnalato l’interesse di una persona ‘di spessore’ a ritornare a visitare – dopo più di mezzo secolo – il paese “più bello d’Italia”, nel quale aveva vissuto un giovane dopo la fine della seconda guerra mondiale. Era successo che, a pranzo con un torinese di antica memoria e tradizione, si parlasse del tempo passato e il caso volle che, in uno slancio vitale, il nobile Alberto prendesse il telefono per far sì che il ‘sogno’ dell’amico pediatra si avverasse.
Protagonista della vicenda è il professor Giuseppe Ferrari, nato a Cameri nel 1937, la cui famiglia abitò a Turbigo, dal 1948 al 1956, in alcuni locali della Rossari&Varzi, lo stabilimento d’In Giò, nel quale era impiegato il padre. Per tale ragione frequentò la quinta elementare a Turbigo, poi le medie e il liceo classico ‘Carlo Alberto’ a Novara. Si era poi specializzato in pediatria, diventando primario all’ospedale ‘Mauriziano’ di Torino, nonché docente universitario. Un personaggio illustre la cui sorella Mariuccia ha sposato un eminente gastroenterologo che è diventato un numero uno negli States.
I RICORDI DEL PROF – Sono quelli della gioventù turbighese degli anni Cinquanta: I ‘Tre Salti’ dove i ragazzi andavano e vanno ancora oggi a fare il bagno; don Edoardo Riboni, il parroco del paese; il cinema ‘Califfo’ dove vide i primi film; l’Arsuffi che governava la Val Ticino ed aveva fatto arrivare tanti bergamaschi che andarono ad abitare in quello che ancora oggi si chiama ‘Manicomio’. Il prof ricorda anche i maggiorenti di allora: il Cagelli del ‘Lanepelli’ con i due figli, Pinuccio e Lorenzo; il Dubini con i suoi due figli, Ezio e Luciano (“dopo cena venivamo in paese e andavamo a trovarli a casa loro”).
Inoltre, continua il prof: “Capitava spesso che il ponte di barche allestito per attraversare il Ticino fosse trascinato a valle dalle piene del fiume (forse è per questo che non c’è una foto di tale sistema di attraversamento). Talché il ponte fu sostituito da ‘Caronte’, un filo che attraversava l’alveo e, per trascinare la barca da una parte all’altra bisognava tirare delle corde. Una volta giunti sulla sponda piemontese si saliva su una corriera denominata in gergo ‘La Mula’, un parallelepipedo di lamiera che, d’inverno, con le strade ghiacciate, quando si percorreva il rettilineo di Galliate, andava regolarmente fuori strada. E allora si rimaneva lì ad aspettare l’aiuto”.
IN CLASSE – “Il più bravo della famosa quinta elementare era un certo Parini”, dice il prof. Il maestro Rudoni aveva inventato un gioco per incentivare i ragazzi a studiare. Aveva diviso la classe in gruppi di quattro ragazzi e queste squadre partecipavano ad un ipotetico Giro d’Italia, molto in voga al tempo. Le ‘quaterne’ che prendevano i voti migliori vincevano la tappa e, alla fine, il Giro d’Italia. A questa competizione partecipò anche il ragazzo ‘che arrivava da Novara’, non molto ben visto nella classe dai turbighesi. Fu perciò inserito nella ‘terna’ più scarsa, ma alla fine, proprio il suo gruppo vinse il Giro d’Italia sotto la spinta del ‘ragazzo venuto da Novara’.