MILANO – Compito del giornalista è riferire correttamente il fatto. Il fatto è verità, dunque? Non sempre. “Se io vedo un ragazzo e una ragazza inoltrarsi in un bosco – il fatto – posso pensare che non abbiano intenzione di recitare il rosario. Ma non è “verità” affermare che l’abbiano fatto per questo preciso scopo”. Con questo esempio il cardinale Angelo Scola ha richiamato il dovere dei giornalisti alla prudenza nel descrivere il fatto. Soprattutto in un’epoca di post-verità – ma molto più semplice sarebbe dire di bugie – alimentata dal proliferare di disinformazione dei social network.
Scola ha parlato, in un affollatissimo incontro nella Sala Barozzi dell’Istituto dei Ciechi di Milano, ad oltre 400 operatori dell’informazione – presente anche il sindaco Giuseppe Sala – assieme a nomi noti del giornalismo: Daria Bignardi, direttrice di Rai3 e Carlo Verdelli, già direttore dell’informazione Rai, moderatore Massimo Bernardini, autore e conduttore di TvTalk.
Occasione, il tradizionale incontro promosso dalla Diocesi di Milano e dall’Unione Cattolica Stampa Italiana, in occasione della Festa del Patrono degli operatori della comunicazione, san Francesco di Sales.
Sono stati comunicati i dati dell’ “Osservatorio Giovani” dell’Istituto Giuseppe Toniolo su “Diffusione, uso, insidie dei social network”.
Ricerca secondo la quale tre giovani italiani su quattro, tra i 20 e i 34 anni, si accorgono quando le notizie diffuse sui social media siano false. Nonostante ciò, l’11,2% condivide tutto in modo indiscriminato ritenendo che sia impossibile controllarne la veridicità.
Con 5 miliardi di smartphones che diventeranno prima della fine del decennio più numerosi degli abitanti della terra, dalla galassia Gutemberg siamo passati a quella di Zuckerberg (il fondatore di Facebook).
Nel circo mediatico dove non ci si ricorda più di ciò che è successo ieri, il non lasciare traccia lascia spazio ad altre cose destinate ad altrettanta corta vita dove quasi niente scende più in profondità.
Il modello è quello di una trasmissione “orizzontale”, senza profondità, appunto, rapidissima, nella quale lo spazio da occupare con interpretazioni enfatiche è immenso, tanto che la disinformazione ha la stessa possibilità, se non maggiore, di diventare virale quanto l’informazione.
Ripartire dai fatti è ancora possibile?
Il quotidiano inglese Guardian ha scritto “Esiste un indebolimento dell’importanza sociale della verità, per cui non siamo più capaci di metterci d’accordo”.
I fatti oggettivi stanno diventando meno influenti degli appelli alle emozioni e alle esperienze personali, si espandono per diventare veri o verosimili. La rete li sceglie proprio perché sono più facili della semplice verità. Infatti, stiamo transitando dalla società della ragione a quella dell’emozione, continuamente stravolta da ondate di notizie senza base. Non saranno leggi restrittive ad hoc o sussulti di coscienza dei padroni dei social media ad arginare questo trend, ma a dispetto dei profeti di sventura, i giornalisti continueranno ad avere la funzione semplice e vitale di raccontare la verità del tempo, sottraendosi alla montante dittatura del “mi piace” e del “così fan tutti”.
Brevettare l’algoritmo della credibilità è un dovere di tutti i giornalisti che, con umiltà, devono essere francescani della notizia.
Non deve accadere che la post-verità diventi anch’essa una moda, perché è un problema vero che viene al pettine, soprattutto in Italia, dove siamo meno portati a comprendere le differenze tra informazione autorevole e non.
Oggi, ribatte Scola agli interventi, alla parola decisiva “reale”, la grande sconosciuta della nostra epoca, si contrappone la diminuzione della verosimiglianza.
Il riferimento è san Francesco di Sales che, già nel 1600, definiva il buon metodo dell’agire interpretando i fatti sempre in favore del prossimo e nella maniera più benevola. «Al contrario il verosimile è, oggi, una grande tentazione massmediatica. Il punto è capire bene cosa sia la verità, che viene sempre al nostro incontro come un avvenimento, attraverso la trama di circostanze e rapporti che accadono”.
Se Facebook è diventato lo strumento principale del pianeta, visto che gran parte degli utenti lo usa come fonte di notizia e addirittura i presidenti di Stati Uniti e Messico hanno dato l’annuncio dell’annullamento del loro incontro su twitter, saltando ogni intermediazione, i giornalisti servono più che mai. Anche se il giornale di carta vive la più grave crisi dalla sua creazione secoli or sono: basti pensare che negli ultimi vent’anni il numero delle copie di vendita è dimezzato ed oggi con 3 milioni siamo alla metà dei livelli d’anteguerra, quando gli italiani erano 40 milioni e in parte analfabeti.
Foto: Il card. Angelo Scola con il pres. IEA Achille Colombo Colerici