Un premio Nobel per la letteratura (1962) non conosciutissimo (purtroppo, ma cerchiamo di rimediare) portentoso quanto a talento grandioso. Lo statunitense John Steinbeck, in questo romanzo complesso, dove ogni personaggio ha una sua completezza e una sua intensità personale, ci porta a provare emozioni profonde. La sua bravura ci fa rivivere degli archetipi quali l’attaccamento ancestrale alla terra, al mondo animale, quello delle relazioni interpersonali, degli istinti. Molto si gioca tra religione e paganesimo, sacro e blasfemo. Giusto e sbagliato. Impersonati da Joseph McGregor e Juanito ma da ogni personaggio anche minore. Perché un classico diventa tale? Perché, come in questo caso, i sentimenti e le dinamiche umane non sono che esteriormente contaminate dalle mode: rimangono eterne. E attraverso romanzi come questo, indirettamente conosciamo noi stessi. Una scrittura diretta e senza fronzoli ma adeguata, aderente a quel che vuole significare. Dà la sua parte ad ogni aspetto dell’essere, dal pensiero più elevato all’istinto più basso: questa è la reale condizione umana. Uno scrittore consapevole e conoscitore degli uomini. Parla di indipendenza in Elisabeth, la bella ragazza dagli occhi grigi che voleva essere autonoma ed invece “crolla” per amore di un uomo di temperamento e si sposa dopo forti conflitti, quindi precorre il femminismo, tra le altre cose. Il finale fra i più simbolici e significativi… Di tutti i tempi.
Tradotto in italiano da Eugenio Montale.