Ventotto sacerdoti e suore, catechisti e volontari cristiani hanno perso la vita nel 2016, mentre lavoravano nelle loro missioni sparse in tutto il mondo. Dallo Yemen alla Siria, dal Congo agli Stati Uniti. Il loro sacrificio è stato ricordato mercoledì 29 marzo nella veglia “Martiri missionari” a cui hanno partecipato gruppi provenienti da tutto il decanato di Magenta.
La veglia si è svolta nella chiesa di San Remigio a Sedriano e si è aperta con la testimonianza di tre missionari molto conosciuti nel Magentino e nel Legnanese – Suor Dalmazia e don Antonio Colombo e Monsignor Elio Greselin – che, negli anni passati, hanno conosciuto di persona alcuni martiri. Alcuni casi furono seguiti all’epoca dalla stampa internazionale. . I nomi dei martiri sono stati appesi dai fedeli a un albero a forma di cuore sistemato di fronte all’altare. Alla lettura di ogni nome seguiva un rintocco sinistro, che ricordava il suono di una pallottola
Prendendo la parola, Suor Dalmazia Colombo – missionaria della Consolata in Mozambico recentemente nominata Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia – ha raccontato di padre Guerrino Prandelli, ucciso da una mina mentre trasportava un carico di alimenti al lebbrosario. E poi della dottoressa Graziella Fumagalli “Era una persona critica, anche verso la chiesa, ma di fede”. Il catechista Cipriano morì rifiutandosi di indicare ai guerriglieri il segretario del partito comunista locale. Padre Antonio Rocha, 29 anni, morì mentre raggiungeva la sua prima missione. Padre Estevão Mirassi era molto brillante. “Non andava bene per chi ci accusa di essere “oppio dei popoli”, ma il cristianesimo non è oppio, dice che sei un uomo libero, anche davanti al martirio”. Infine Suor Leonella Sgorbati: “L’unica del nostro istituto ad avere le qualità per fondare una scuola d’infermieri in Somalia. Gli alunni aumentavano, fra loro le donne. E lei sapeva del pericolo, ci diceva scherzando che c’era una pallottola con scritto il suo nome. E’ morta perdonando i suoi assassini”. Io ho vissuto 26 anni di guerra – ha concluso suor Dalmazia -Quando sei in un posto dove sparano la paura viene, ma c’è anche una voce interiore che ti dice: “rimani”. Nel quotidiano, possiamo essere martiri rimanendo in situazioni dolorose, testimoniando di credere nella libertà e nella giustizia. E’ seguita la testimonianza di don Antonio Colombo, di Dolzago (Lecco) e missionario in Perù a Huacho (e già parroco a Seveso Altopiano, Milano Greco, Cologno Monzese e coadiutore a Cerro Maggiore). Da tanto tempo non bevo più limoncello – ha esordito il don – perché l’ultima volta chi me l’ha preparato dopo poco è stato ucciso. Saverio Torboli, frate cappuccino in Mozambico era stato cacciato dalla missione, ma è rimasto lo stesso e per Gesù, era diventato “contrabbandiere”: andava in Malawi, comprava le Bibbie e tornava indietro, un giorno l’hanno fermato e ucciso. In Perù ho conosciuto missionari uccisi dal gruppo politico “Sendero Luminoso”: Padre Daniele Badiali, ha offerto la sua vita per salvare una volontaria. E poi il giovane Rocca, freddato mentre era in viaggio per comprare cipolla per i poveri delle Ande. E ancora, don Alessandro Dordi e due preti polacchi. Il vescovo gli aveva detto: “Siete nel mirino, siete bianchi, non vi vogliono’. Lui disse “Devo fare i battesimi, poi vado in città”. Non sono più tornati. Paura i missionari ce l’hanno. Che Signore ci aiuti. Anche Monsignor Elio Greselin ha voluto portare la sua testimonianza. “Sono vescovo in Mozambico. Vi tornai nel 1990, dopo aver passato 15 anni a Bologna. Stava finendo la rivoluzione marxista e la guerra. La gente viveva vestita di corteccia d’albero, isolata dal mondo, ma erano rimasti Gesù: abbiamo trovato una chiesa forte grazie a chi ha difeso la propria comunità con il dono della vita”. Monsignor Gianpaolo Citterio, vicario episcopale, al termine delle testimonianze ha esortato tutti i presenti alla celebrazione “a chiedere a Gesù che ci ha donato la fede come posso donare la mia vita, come posso dedicare questa vita a fare testimonianza. Lo Spirito Santo ci suggerirà cosa dire”.