Nella nostra storia contemporanea i terremoti più devastanti per numero di vittime e distruzioni (Belice, Irpinia, L’Aquila, Centro Italia-Amatrice per citare) hanno riproposto il problema della fragilità edilizia di borghi e città. Situazione frutto di una cultura urbanistica piu’ romantica ed estetica che non razionale; basata sulla esigenza filologica di una aprioristica conservazione del manufatto edilizio come testimonianza della cultura del Paese anche a scapito, oltrechè della sicurezza, di ogni logica di convenienza economica.
Le polemiche rozze e prevenute, dopo gli accadimenti di Ischia, ne sono la triste prova.
La visione di cui si diceva non ha permesso quel graduale rinnovamento ed adeguamento degli immobili (riuso e sostituzione) alle nuove esigenze di vita; rinnovamento che avrebbe comportato anche il conseguimento di standard qualitativi maggiormente idonei a garantire condizioni adeguate di sicurezza.
Andiamo a vedere quante sostituzioni edilizie ( demolizione e ricostruzione ) sono state realizzate in città e borghi nell’arco di mezzo secolo; ma soprattutto quante se ne sarebbero potute realizzare.
Ben poche, con la normativa rigida di cui si era dotato il nostro Paese; e poche anche con le norme attualmente vigenti. Ed allora, le conclusioni sono facili da trarre.
Siamo andati avanti per decenni con interventi edilizi tampone, causa anche di parte dell’abusivismo. Come dice il proverbio, peggio il rimedio del male.
Nelle polemiche si dice: mancano un’analisi, una mappature ed un monitoraggio dei rischi naturali, idrologici e geologici ; manca una
definizione di piani sistematici di gestione delle emergenze in caso di disastri naturali e via dicendo.
Ma, considerando lo stato della legislazione nazionale in materia, manca ben altro. Manca una normativa unitaria addirittura in tema di principi fondamentali: conseguenza della incapacita’ della politica di conciliare la cultura con l’economia.
Solo da pochi mesi abbiamo un regolamento edilizio tipo, le cui norme valgono per tutto il territorio nazionale, ed i Comuni stanno adeguandovisi gradualmente.
Oggi la situazione italiana e’ a macchia di leopardo. In assenza di leggi nazionali ogni regione legifera a modo suo.
Servono una legge nazionale sul regime dei suoli, che disciplini il diritto di costruire codificandone i principi, ed una legge sul consumo del suolo, che tenga conto della peculiarita’ della situazione italiana.
Leggi che siano ispirate ai principi di razionalita’, economicita’, liberta’ individuale, prestazionalita’ e funzionalita’ delle strutture edilizie; che favoriscano i processi di rigenerazione urbana.
Che fissino le norme per disciplinare gli interessi legittimi ed i diritti soggettivi in relazione alla pianificazione territoriale (Jus aedificandi ) e istituiscano il principio di perequazione
obbligatoria nelle aree di espansione; con la facolta’ di traslazione dei diritti edificatori o volumetrici all’intermo di ambiti territoriali omogenei.
Che risolvano la dicotomia tra piani non conformativi e piani conformativi, ad esempio in relazione alla zonizzazione funzionale o alla attribuzione degli indici edificatori o volumetrici.
E bisogna cominciare a pensare di superare il livello comunale ( che e’ storico convenzionale ) come parametro-scala per la pianificazione urbanistica.
Leggi dunque che mirino ad un effettivo rinnovamento del Paese alla luce della esigenza di competitivita’ internazionale.
E infine, last but not least, bisogna riflettere seriamente sulla massiccia presenza, nelle nostre realta’ urbane, del “condominio”, un soggetto che si sta dimostrando tra i meno reattivi di fronte alle esigenze di rinnovamento di paesi e citta’.
FOTO Achille Clerici al tradizionale incontro di Cernobbio