Ci sono famiglie che, sfruttando l’importanza strategica dello Stato di Milano e ben inserite nelle istituzioni locali, riescono non solo a sopravvivere alle diverse dominazioni straniere ma ne diventano interlocutori indispensabili. È questo il caso dei Clerici, la cui storia è stata oggetto del convegno Villa Clerici- Pacchi, gioiello del Seicento Milanese. A decoro del nome, che si è tenuto presso il Centro Decanale Scala di Giacobbe, a Castelletto di Cuggiono, sabato 7 ottobre.
L’evento, patrocinato dalla Regione Lombardia e dal Comune di Cuggiono dal Parco del Ticino e organizzato dalla Parrocchia SS Giacomo e Filippo con il contributo di Fondazione Candiani, Cosmel Srl e Gabriele Calcaterra del Museo Civico Cuggionese, ha avuto una notevole presenza di pubblico. I due relatori, Matteo Turconi Sormani e Luisa Vignati, hanno dipinto un interessante affresco di luoghi che appartengono al nostro vissuto quotidiano, ma che forse non conosciamo fino in fondo.
Come ha spiegato Luisa Vignati, il monastero, con annessa la chiesa, il “catenazzone”, il ponte e Villa Clerici sono il nucleo di Castelletto di Cuggiono, almeno fino al ‘900. Verso il 1650, i Clerici ottengono l’attuale Villa, di dimensione ancora modeste, dagli Omodei, loro debitori. Alla morte di Giorgio I Clerici, nel 1668, una parte della struttura è già conclusa. Giorgio I è l’artefice della fortuna della famiglia. I suoi figli, coinvolti sia nell’amministrazione del Ducato di Milano sia nella carriera militare, portano avanti il progetto della Villa, grazie anche a un sempre più cospicuo patrimonio, incrementato dalla pratica dell’usura: i Clerici infatti impongono, ai beneficiari dei prestiti, di fornire come garanzia beni immobili che, progressivamente, sono incamerati nel loro capitale. La famiglia milanese, però, «non prende senza dare», ricorda Turconi Sormani: avendo ottime relazioni con gli enti ecclesiastici, acquisiscono il patrimonio di enti caritatevoli ma elargiscono cospicue donazioni; Francesco Clerici, ad esempio, militare al servizio della Spagna e uomo controverso perché al centro di torbide vicende giudiziarie, è ricordato anche come un benefattore, avendo destinato parte dell’eredità all’Ospedale Maggiore di Milano.
Il pronipote di Giorgio II Clerici, Anton Giorgio, completa la Villa di Castelletto, arricchendo il giardino con piante esotiche, statue e pergolati, e facendo realizzare la nota scalinata con vista sul Naviglio. Come sottolineato dall’architetto Tomaso Gray De Cristoforis, se l’architettura rispecchia il valore politico ed economico di un’istituzione o di una famiglia, la scalinata, quasi “appoggiata” sul Naviglio, una delle principali via di comunicazione dell’epoca, esprime simbolicamente la forza dei Clerici, «a decoro del nome». La loro influenza permette anche di commissionare affreschi, alcuni in buono stato di conservazione, attribuiti ad alcuni dei maggiori pittori lombardi del Seicento.
Morto Anton Giorgio senza eredi maschi diretti, la fortuna passa a un ramo minore della famiglia, il cui membro forse più noto è Giorgio, avversario dell’Austria nelle Cinque Giornate di Milano.
Dalle parole dei relatori si è quindi compreso che i Clerici hanno lasciato un’enorme eredità, complessa e multiforme: spetta a noi salvaguardarla.