Il 9 ottobre 1967 moriva Ernesto “Che” Guevara. La sua fine cruenta ha contribuito a far diventare Guevara un’icona rivoluzionaria. Un simbolo non perde del tutto il suo ruolo concreto nelle vicende che lo vedono protagonista, ma il suo lascito è fluido e, in un certo senso, facilmente plasmabile a seconda dell’idea che si vuole propugnare: per trovarne la funzione storica, occorre perciò presentare il contesto cui l’uomo/ la donna/ il gruppo appartengono. Non si tratta di un puro esercizio per “destrutturare” ciò che vive nell’immaginario collettivo, perché la Cuba rivoluzionaria, e successivamente castrista, non può vivere in una condizione di “splendido isolamento” durante la Guerra Fredda; inoltre, Guevara perfeziona la sua coscienza politica proprio nel corso di diversi viaggi nell’America latina.
La crisi del ’29 crea numerose difficoltà all’intero continente americano. I paesi che non hanno avviato una certa diversificazione produttiva, rimanendo inoltre ancorati al modello agricolo della monocultura, non si liberano con facilità del potere delle vecchie oligarchie terriere; si alternano così governi liberali, tutti instabili, e dittature gestite soprattutto da militari. Santo Domingo (1930), Nicaragua (1936) e Cuba (1933): in tutti e tre i casi, i regimi durano ben oltre la Seconda Guerra Mondiale. Gli Stati Uniti svolgono una funzione di tutela sul continente, in modo sempre più pervasivo. Nel secondo dopoguerra, il timore che l’instabilità politica e le grandi disuguaglianze sociali favoriscano la penetrazione comunista, spingono gli Usa a incoraggiare una più stretta cooperazione commerciale con i paesi del continente, creando L’Organizzazione degli Stati americani, nel 1948. In certe circostanze, si verifica una buona crescita industriale: è il caso del Messico, uno dei pochi stati dell’area le cui istituzioni rimangono democratiche, pur con numerose difficoltà, anche grazie al Partito rivoluzionario istituzionale, presente costantemente sin dal 1910. D’altra parte, già durante il secondo conflitto mondiale, i paesi latino-americani conoscono un certo sviluppo economico, approfittando anche delle diminuite possibilità di esportazione occidentali; questa fase si interrompe però nei primi anni ‘50, non senza lasciare conseguenze sociali importanti per i successivi eventi politici. Emerge, per la prima volta, un ceto medio urbano e nazionalista, che oscilla tra la volontà di rinnovamento e la paura delle rivendicazioni sociali della popolazione più povera. Negli stessi anni, la dittatura cubana di Fulgencio Batista (uomo di provenienza militare e al centro delle vicende del paese da circa vent’anni) sembra rafforzarsi e, invece, la soppressione delle libertà costituzionali, l’enorme disparità sociale e la crescente corruzione segnano l’inizio della sua fine. Nel 1956, Fidel Castro, Ernesto Guevara e Camino Cienfuegos fondano il Movimento del 26 di luglio, protagonista della guerriglia sulle montagne della Sierra Maestra, che porta al rovesciamento del regime nel gennaio del 1959. La riforma agraria avviata dal nuovo governo danneggia gli interessi della United Fruit, compagnia commerciale statunitense; gli Usa, in precedenza non dichiaratamente ostili al regime, iniziano a boicottarlo. Come conseguenza, Castro, in cerca di alleati, si rivolge all’Urss, disponibile a dare sostegno finanziario e diplomatico a Cuba. È il punto di non ritorno: l’economia viene in parte statalizzata e si istituisce un sistema politico a partito unico, orientato sempre di più su posizioni socialiste.
Un governo di sinistra nell’America latina degli anni ‘50/’60 è un’eccezione, non la regola. In Argentina, dopo l’estromissione di Juan Domingo Peròn nel 1955, i militari affidano la guida del paese a governi civili, incapaci però di risanare l’economia; nel 1966, temendo un ritorno dei peronisti, i generali instaurano una dittatura di destra. Parabola simile a quella vissuta dal Brasile: dopo il suicidio di Getulio Vargas, esautorato dall’esercito nel 1954, i suoi successori non sono in grado di attenuare gli enormi squilibri sociali presenti. Nel 1964, con un golpe supportato dagli Usa, i militari prendono il potere, impongono una dura repressione interna e promuovono l’arrivo di capitali stranieri; inizia un periodo di crescita economica, ma sempre a scapito dei ceti più deboli.
In Bolivia si rafforza il regime militare nato nel ’64, dopo il rovesciamento del governo laburista guidato da Victor Paz Estenssoro. La volontà di Guevara di esportare la rivoluzione cubana nel resto del continente, partendo proprio dalla Bolivia, rivela sicuramente un bagaglio culturale marxista, ma non è da sottovalutare l’ideale panamericanista di José Martì, scrittore, poeta e rivoluzionario che, nella prima seconda metà del 1800, combatte per l’indipendenza di Cuba dalla Spagna. Citato spesso da Castro nei suoi comizi, il pensiero di Martì propone di attuare un’equa distribuzione delle terre, la fine di ogni discriminazione razziale e limitare l’influenza statunitense nei Caraibi: un fondamento ideologico perfetto, e autoctono, per delegittimare il regime batista e per costruirne uno nuovo.