Il Centro Culturale Islamico di Carrer Rafael Capdevila a Barcellona è il terzo che ho visitato nella mia vita dopo quelli di Magenta (era in via Oberdan tempo fa e non esiste più) e Abbiategrasso in via Crivellino. Quali differenze ho trovato? Nessuna. L’unica è la presenza della moschea sotto il centro a Barcellona, mentre ad Abbiategrasso non si può parlare di moschea anche se viene usato per la preghiera, oltre che per attività varie.
Perché ne parliamo? Perché siamo curiosi e il giornalismo non è solo il nostro lavoro a CorriereAltomilanese, ma soprattutto è la nostra passione. Volevamo vedere come e se si sono integrati i musulmani in una città che solo recentemente ha subito un gravissimo attentato di matrice islamica costato la vita anche ad un uomo della nostra zona. Come e perché in quella terra si siano radicati giovanissimi invasati che hanno ucciso. Domande rimaste senza risposta, come già sapevamo. Raggiungere il Centro Culturale Islamico non è stato difficile. Arrivati a Carrer Capdevila lo abbiamo visto subito. Il portone è sempre spalancato. Testimonianza che il Centro è perennemente aperto ai visitatori. All’ingresso abbiamo trovato una ragazza musulmana che ci ha accolto: “Potete andare dove volete”, ha detto. Eravamo quasi stupiti. Ma come, in una terra dove c’è chi ha seminato odio uccidendo dei poveri innocenti non sembrava proprio di entrare in un luogo chiuso.
Leggiamo il sito del centro e la troviamo anche per iscritto, sul loro sito, quella che è la filosofia portata avanti da chi lo frequenta: “Nuestra asociación está abierta a todo el público en general, de esta manera buscamos ofrecer que todas las personas sin distinción, tengan la posibilidad de conocer el islam. Nuestras jornadas y actividades están destinadas para favorecer la integración entre todos, sean musulmanes o no”. Ma ovviamente a noi curiosi non bastava il Centro Culturale. Volevamo vedere anche la moschea. Chiediamo alla ragazza che acconsente. Arriva un responsabile, Alì. Egiziano. Ci accompagna alla moschea. Ci togliamo le scarpe. Entriamo. C’è silenzio totale. Alcuni pregano. Alì ci spiega che è il venerdì il giorno di massima frequentazione, come ovunque. In Catalogna sono alcune migliaia i musulmani. Lui non è mai stato in Italia, se non di passaggio.
“Sia prima che dopo l’attentato terroristico i rapporti con gli abitanti di Barcellona sono sempre stati meraviglios”, ha detto. Torniamo sempre al solito discorso. La stragrande maggioranza degli islamici vive in pace. E gli attentati che hanno colpito nelle più svariate città europee ci lasciano attoniti. Ci spingono a dire che l’Islam porta solo odio e che non vogliamo i musulmani nelle nostre terre. Giusto o sbagliato che sia noi raccontiamo quel che vediamo. A Barcellona hanno seguito una linea diversa. Il sindaco Ada Colau è sempre stata a favore dell’accoglienza portandosi dietro critiche feroci. Che abbia fatto bene o male non spetta a noi giudicarlo. Di certo continua su questa strada favorevole all’accoglienza dei migranti. Anche dopo la strage sulla Rambla.
Per una mezzora siamo rimasti nella moschea insieme ad Alì. Abbiamo osservato ovunque. Si può entrare anche il giorno della preghiera. Sono loro a volerlo per mostrare al mondo che non odiano nessuno. Eppure c’è sempre qualcosa che non va. Salutiamo Alì. Usciamo da Carrer Capdevila. Inshallah, ci vediamo se Dio vuole.