Cari amici,
da più parti ho ricevuto l’invito a visitare la mostra “Ontogenesi ortogonale” di Carlo Oberti presso lo spazio arte “Viamoronisedici” a Bergamo. Il prof. Vittorio Raschetti dimostra di essere affezionato al tema della genesi, da poco infatti ha inaugurato la bellissima opera “Gestazione” di Andrea Cereda ad animaminimaCONTEMPORANEA.
Innanzitutto vi invito anche io a visitare la mostra e la città di Bergamo, che oltre ad avere un centro storico di particolare bellezza ospita non pochi gioielli artistici.
Fatte queste premesse vi auguro una buona lettura, si tratta di un testo denso, non abbiate fretta di finire la lettura perché i temi della mostra di Carlo Oberti sono i temi dei giorni nostri, quelli che riguardano ognuno di noi.
Sante Egadi
Ontogenesi ortogonale
Una passione non chiede permesso. Una visione richiede meditazione. Quella di Carlo Oberti, nella sua ansia di perfezione, si offre armonicamente ricomposta in lucida sintesi plastica, per raggelare il caos calmo dei riti interiori. Come un mare profondo di correnti fredde invisibili e potenti che spinge onde molto lontano dall’origine. Tutto deriva dalle forme, anche dalle forme alla deriva.
Distillati poetici visivi, incontri nel vuoto, indici di prossimità tra le forme nello spazio, indizi di infedeltà tra i segni nel tempo.
L’arte è uno spazio potenziale, un centro di attenzione, un campo di ricezione dove incubare tutta la tensione intrasmissibile della nostalgia della totalità profonda. Se il mondo è aperto, un corpo di connessioni infinitamente attraversabile, l’opera è una macchina interiore introflessa dentro i propri misteri inenarrabili di implicazioni e risonanze implicite.
Annidata nella vicinanza assoluta, nell’immanenza autoreferenziale della quadratura, risucchiata da un gioco di equivalenze geometriche immerse in un mare di sensibilità, la vita delle forme prende la direzione di una tensione subatomica, di una microfisica infinitesimale, ma non per questo meno universale.
Carlo Oberti, con le sue opere, riesce a ricomporre la dicotomia esprit de geometrie – esprit de finesse, in una sintesi geometrica della sensibilità, dove la geometria ritorna ad appartenere al mondo della vita e delle sue pulsazioni vitali.
Nell’interno più potente, fatto di forme simboliche perfette, ordinate e cristallizzate nella precisione congelata, sembra quasi sfuggire la vita, ma è solo una effimera impressione, perché proseguendo nell’attenzione veniamo raggiunti da richiami e sottintesi: anche da finestre sigillate può esalare la vita.
Si scopre una vena di lucida follia catturati nelle trappole della trigonometria. Angoli di mondo e forme acute del pensare per triangoli. Abilità del piegare lo spazio sfuggendo alla ferrea dittatura dei teoremi. Quella di Carlo Oberti è una cartografia del mondo assorta nella magica compostezza di forme pure assorte nella propria auto evidenza. Sovrapposizioni di piani, adiacenze di solidi. Richiami di forme, incroci e ribaltamenti, rincorrersi di volumi. Riverberi di spazi, false simmetrie ingannatrici. Nel bianco senza sbiadire. Nel bianco senza sbagliare. Osando sfidare la dittatura del nero oltre il nero che non è un punto zero cromatico, ma piuttosto il punto di ascolto oltre l’apparente reticenza del soprannaturale. Una paziente vedetta sul confine tra due mondi, capace di attendere, senza pretendere. Il nero oltre nero è il confine tra vibrazione del colore ed immobilità del concetto: è omertà complice di una trascendenza silente, che chiede di specchiarsi nel buio.
Sull’orlo di un dirupo di millimetri, la ricerca di silenzi abissali si ritrova in ciò che è più vicino. Appartate nelle cose, stanno le relazioni segrete che si afferrano con la certezza delle leggi del tempo. Esplorazioni di superfici ed emersioni da luoghi remoti in cui ritirarsi. Carlo Oberti plasma opere che intendono rimanere enigmi, che si trattengono nell’allusione con frequentazioni ai confini del percepibile. Aporie dello spazio. Allegorie di solidi. Sopravvenienti e sopravviventi. Apparizioni e rifrazioni nelle moltiplicazioni negli specchi.
Minuziosità, attraversando gli ultimi lembi di ignoto, per trattenersi ai margini della leggibilità.
Ogni linea retta è incisa nell’aria, ogni parallela è sospesa ad una verifica incerta sempre differita, contenuta in un una intenzione più che in una possibile dimostrazione: ogni segno è un eco di un pensiero già gettato in onde già riflesse.
Occorre innescare aspettative di regolarità nei rapporti tra le forme per poi tradirle con un inatteso dettaglio dissonante. Come in quel gioco enigmistico che ci chiede di trovare il particolare mancante. Il dettaglio differente risulta nascosto grazie all’inerzia della nostra immagine della memoria che tende a ripetere senza ascoltare la semplice verità della percezione. La visione è innocenza e purezza di rapporti formali tra oggetti allo stato nascente che si offrono in un gioco di composizioni sempre varianti.
Le opere che sono architetture della mente, templi portatili. Icone polivalenti adatte per tutti i culti, prive di dogmi, ma ispirate dal culto della pura bellezza di idee platoniche. Una lentezza meditata di origami inesorabili nella precisione: pura felicità dell’astrazione di forme incastonate in se stesse, ripiegate sui propri confini.
Ontogenesi ortogonale tra riverberi, ombre di oggetti, apparenze di forme in sospensione, liberate dal dovere di contaminarsi nel mondo, nelle sue direttrici spezzate, irregolari, irrisolvibili.
Onde quadrate di carta nel mare interno della geometria. Una enclave euclidea in un mondo di simulazioni virtuali, antica solida e sicura come le geometrie antiche. Arte che procede per teoremi, passioni razionali ed assiomi da professare in composta solitudine. Non per inesattezze, ma per dimostrazioni e lucidi calcoli formali si raggiunge la bellezza dei rapporti definitivi oltre l’impressione vacua del mondo.
Uno spazio intensivo più che estensivo, determinato da una tensione significante avviluppata e potenziale più che da una intenzione, che mostra un modo di essere dello spazio, che rivela un modo di appartenere allo spazio per accumulazione di vicinanze, per orientamento e raccordo. Una spazialità apparentemente immobile e silente, ma che sottintende una linea di fuga, compresa tra spazi intermedi ingannevoli e sospetti, capaci di tradire.
Non si è nel mondo, ma si diviene nel mondo, per questo si cerca di sottrarsi alla metamorfosi avvolgendosi in una configurazione di forze visive protettive cercando la redenzione dentro l’ordine di regole apparentemente inflessibili.
Le opere di Oberti ricordano velieri in tempesta dentro una bottiglia: interi mondi sottovuoto, dove il dramma è solo sospeso, dove il rapporto col mondo è solo rinviato.
Come reperti di ricordi, geometrie ritrovate nei vissuti della memoria. Simmetrie nascoste e combinazioni di impulsi costruttivi non transitori. Spazi di prossimità. Incontri non casuali di linee protese oltre i vuoti e le forme latenti. Strategie di frammentazione e ricomposizione su campi di intensità differente. Estroflessioni oltre il baricentro di volumi aggettanti sull’impossibile. Inserti di luce su sogni solidi.
Arrendersi alla forza di gravità interna dello spazio, all’attrazione tra forme addensate in una stessa atmosfera, cominciando a dirigere lo sguardo sui contorni, sui rapporti tra i confini, imparando a guardare le forme e sopratutto attraverso le forme.
Coesistenza di sottili inflessioni tra strisce e configurazioni, costellazioni di richiami e analogie formali tra giochi di affinità affacciate sui bordi di mondi non ancora abitabili.
Un caleidoscopio ghiacciato di forme cristallizzate ma mobili grazie all’improvviso ricordo di un gioco scomparso. E’ una logica criptata nel riverbero di luci di una lanterna magica. Una proiezione di diapositive in una stanza troppo illuminata che lascia solo intuire le immagini per eccesso di luce sul telo bianco.
Una clessidra orizzontale rifiuta di segnare lo scorrere del tempo, vittima di un surplace permanente, eternamente in bilico sul tempo, intrappolata in un istante inceppato prima della caduta.
Una pratica dell’attenzione che acuisce la percezione di qualcosa che non esiste più, guidata da un centro immobile e nascosto, come una sonda nelle profondità riapparse sulla superficie. Disperdere la disattenzione è l’imperativo morale che il rigore stoico di Carlo Oberti lascia apparire nel metodo delle sue composizioni. Occorre prontezza ed ostinazione per sincronizzare l’incontro con il tempo ortogonale della bellezza dei rapporti necessari tra le forme, perché il miglior modo di accogliere il destino è dare un appuntamento nel silenzio.
Come un fisico epicureo, Oberti sa che gli atomi nel vuoto cadono in linea retta, ma sa anche che possono deviare lungo una diagonale, il clinamen per arrivare a incontrarsi. Così le forme di Oberti pur rispettando l’ortogonalità, a volte mostrano impercettibili deviazioni, che creano attrazioni tra le forme, innesti e nuove combinazioni di bellezza improvvisa e inattesa.
Fenditure e rime d’ombra sembrano cercare la cassa di risonanza per amplificare silenzi protesi nell’incessante tempo. Solo strumenti musicali interrotti oppure eccessivi permettono di ascoltare suoni inediti di ignota provenienza. Ci si chiede quanto manchi alla fine dell’inizio, quando davvero cominci a svanire l’ultima nota che continua nella visione mentale abbagliante del bianco.
Linee di erranza, traiettorie, congiunzioni di piani distillando forme sospese in ore senza nome. Imponderabili, imperturbabili. Strade a doppio senso, senza direzioni prestabilite.
Contumaciale elogio di una forma presente in assenza, evocata nell’evanescenza del bianco. Claustrale disciplina del ripiegamento di forme innestate in se stesse e concluse, alla ricerca dell’aura non che circonda, ma che è interna ai contorni delle cose.
Abili alibi per sfuggire dal mondo.
Una disciplina orientale della mente, una pratica di autocontrollo per camminare su una fune come un equilibrista del pensiero visivo. Occorre passare tra molte solitudini per trovare sentieri non ancora tracciati che portano nei pressi del vero. Perché non arrivare a nulla è diverso da arrivare al nulla.
Vittorio Raschetti