PROLOGO
La mia morte la immagino semplice. Nulla di eclatante ma improvvisa. Sto attraversando la strada sulle strisce pedonali quando una macchina che sfreccia a tutta velocità mi investe. Risultato: morte improvvisa, buona parte delle ossa spezzate e cranio rotto. Un finale che è un po’ la sintesi della mia vita, un’uscita di scena timida. Sicuramente prima di attraversare non avrò guardato se venivano macchine e sicuramente il semaforo sarà stato verde per i pedoni. Anche alla fine avrò dato fiducia alla società e lei mi avrà punito, nonostante fossi matematicamente dalla parte della ragione, colpevole solo di aver creduto che anche gli altri avrebbero rispettato le regole. Sicuramente in una qualche squallida aula di tribunale qualcuno vorrà tenermi in vita per ottenere un risarcimento dall’assicurazione, cercando di farmi fare da morto quel che non ho voluto o non ho saputo fare da vivo. Uscirei di scena così, magari in una notte di pioggia, sbattuto in aria da qualche adolescente ubriaco che si crede artista ed ecco compiuta la sintesi.
Posso dire di essere totalmente disorientato. Di aver perduto tutte le certezze. Devono essere stati il mal di denti e la tonsillite a gettarmi in questo stato. Se ora ci fosse un’impresa che organizza l’ultimo viaggio, garantendomi di non farmi sentire nulla, di eliminarmi all’improvviso, senza dirmi come, inaspettatamente, così da non provocarmi dolore. Ebbene sì: io acquisterei il servizio. Ma so già che non andrebbe in questo modo. Perché l’azienda assolderebbe qualche dilettante, qualche stagista del cazzo, disperato e inesperto che, come quei boia incapaci di troncarti la testa di netto, con colpi sbagliati ti sfaldano una spalla trasformando un comodo teletrasporto in un viaggio apocalittico su un barcone di rifugiati politici. Sì, sono certo che combinerebbe qualche casino adatto ad allungarmi la vita in agonia o comunque tale da garantirmi la peggiore fine tra quelle che potrei desiderare.
Quanto al mio corpo lo farei mangiare ai pesci e agli squali. La cremazione è un’attività troppo umana. I forni sono orribili e chi li gestisce è peggio della selvaggia natura, che per il Gran Finale resta la migliore soluzione auspicabile. Ho sentito di cadaveri conservati in sottoscala umidi, ammassati per giorni dentro sacchi dell’immondizia in attesa di essere lavorati, mentre la decomposizione avanza. Insomma, nel nostro paese prima di trasformarsi in cenere c’è sempre un’attesa del tutto italiana, una qualche fila da fare, una burocrazia da rispettare (qualcuno certamente osserverà che sono diventato fortemente pessimista a immaginar di morire in Italia).
Ma chi vuoi poi che fitti una barca, attiri gli squali e lanci il mio cadavere nelle loro voraci e potenti fauci? Chi si prenderebbe questo disturbo!? Nessuno! Forse solo la mia ex (ancora) devota (chissà per quanto) ancora.
E’ una roba impegnativa, ma il risultato sarebbe garantito. Due o tre morsi grandi e la carne da questi fianchi che tante volte ho visto allo specchio finalmente sparirebbe. D’un colpo. Le restanti parti poi verrebbero rifinite e pulite da pesci più piccoli. Credo che ci vorrebbe poco tempo prima di ottenere delle ossa bianche, candide.
Il problema è che io sono esigente, mi piacerebbe riposare sul fondo del mare o adagiato ad uno scoglio superficiale, coccolato dalla cresta delle onde prima di diventare anch’io conchiglia (ce ne vorrebbe di tempo). Ma non vorrei mai rischiare di finire negli abissi per l’eternità, tra quei pesci mostruosi che di bello non hanno nulla, che non sono mai stati baciati dalla luce del sole. Insomma, in mare va bene ma non nelle tenebre. Nell’oscurità non ci voglio andare.
L’ideale per me sarebbe un fondale poco profondo o anche uno scoglio. Luoghi in cui arrivano i raggi solari e dove tra pesci colorati e cuccioli di granchio mi possano giungere le urla dei bambini che, con costumi e maschera colorati, si divertono sul bagnasciuga. Lì dove il riverbero dei rumori della paletta sulla spiaggia potrebbe solleticarmi mentre i raggi del sole mi riscaldano.
Eppure qualcosa mi fa credere che invece finirò pochi metri sotto terra. Nell’umidità, con un corpo che si gonfia di gas e di vermi mentre i topi si nutrono delle mie membra.
Ma poi. Prima… o poi, finalmente saranno di nuovo ossa candide. A quel punto mi piacerebbe che qualcuno le usasse per decorare una finestra blu che si affaccia sul mare e ogni giorno, per tutto il resto del tempo, le mie ossa o quel che resta di loro, prendessero il sole, quel sole che non ho potuto prendere in vita. Per sempre.
(Tratto da: Non chiedermi perché sono morta. Stampato per conto di Youcanprint Self-Publishing dic. 2016 )