Conosciamo il DNA paterno di Leonardo Da Vinci, ovvero il suo codice Y ma non quello X dei geni materni. Suo padre, Ser Piero Da Vinci, ricco e potente notaio fiorentino, ebbe varie mogli e più di venti figli – a quel tempo le morti per setticemia post parto erano comunissime, soprattutto fra le classi agiate – e molti fra quelli furono poi sepolti dentro alla cappella di famiglia. Per questo motivo il recupero del patrimonio genetico maschile di Leonardo non è mai stato un problema, infatti, sappiamo che anche il regista Franco Zeffirelli discende da Ser Piero Da Vinci, come hanno dimostrato i test di laboratorio.
La madre di Leonardo si chiamava Caterina e non ne conosciamo il cognome. Questo strano fatto sembra indicare che non fu una contadinella di Vinci, come alcuni sostengono, ingravidata dal potente notaio durante una delle sue scampagnate presso la casa di Vinci, dove il padre, Antonio, abitualmente risiedeva.
Il primo documento che riporta il nome di Caterina, risale a quando Leonardo aveva solo 5 anni e vi vien detto illegittimo.
La storica fiorentina Elisabetta Ulivi, con le sue ricerche d’archivio ha scoperto le tracce di almeno altri due figli illegittimi del rapace notaio, e addirittura uno di loro maggiore di Leonardo.
Ser Piero, per rimediare al faux pas con una donna senza mezzi, forse una schiava di Firenze al servizio di un suo cliente, della quale profittò mentre il padrone di casa giaceva agonizzante nel suo letto, modificò a proprio favore il testamento per appropriarsi della sua bella casa, a danno della vedova.
Ser Piero poi agì da sensale nei confronti della serva gravida, portandola a Vinci e dopo il parto di Leonardo, la diede in sposa a uno dei suoi aiutanti.
Caterina continuò a vivere a Vinci, badando al suo nuovo marito e ai cinque figli che successivamente i due misero al mondo. L’uomo che sposò Caterina si chiamava Antonio di Piero del Vaccha d’Andrea Buti, conosciuto come Accattabriga. Il suo nomignolo volgare indicava la provenienza da un ceto sociale inferiore a quello dei Da Vinci ed era probabilmente un ex mercenario, riadattatosi alla vita borghese come lavorante alla loro fornace. Quest’uomo fu certamente molto vicino a Ser Piero e a suo fratello Francesco, un po’ come quel Nanni di Prato che ebbe in sposa la schiava tartara ingravidata da Francesco Datini, il Mercante di Prato.
Possediamo un certo numero di informazioni su questo factotum dei Da Vinci, perché validò alcuni documenti redatti da Ser Piero e, quanto pare, egli veniva convocato ogniqualvolta serviva un compiacente testimone.
In una portata del ormai sessantaquattrenne Accattabriga datata 1487 sappiamo che Caterina aveva 60 anni. Dunque, lei doveva aver generato Leonardo a 25 anni, ben oltre la normale età da marito. Se non si era sposata prima, pur essendo piacente, il motivo doveva risiedere non solo nel fatto che non aveva una dote ma che non aveva diritti, ed era davvero una schiava.
La casa in cui lei visse, dopo il matrimonio, sorgeva a Campo Zeppi di Vinci, vicino alla chiesetta di San Pantaleo che è tutt’ora visibile, anche se priva delle campane. Sorge dove il torrente Vincio, il quale scende dal Monte Albano e si spaglia nelle paludi di Fucecchio.
Dunque, fra il 1453 e 1463, Caterina mise al mondo cinque figli: la loro prima figlia, Piera, nacque nel 1453, un anno dopo Leonardo da Vinci. Il nome della figlia fu evidentemente scelto in onore di Ser Piero, che li aveva messi insieme e che li manteneva. Dopo Piera, ebbero Maria, Lisabetta, Francesco e l’ultima fu Sandra. Il loro unico figlio, Francesco, morì a Pisa intorno al 1490, mortalmente ferito da un colpo di archibugio, e a partire dal 1530 il cognome Buti era estinto a Vinci.
Nel 1493 Caterina divenne vedova e andò a vivere a Milano con Leonardo – il suo unico e ormai famoso figlio – e morì fra le sue braccia l’anno successivo. Il luogo della sua sepoltura a Milano non è conosciuto, perché non vi esistono cimiteri per poveri ancora intatti e che risalgono alla fine del quattrocento.
Ad Amboise, in Francia, il 23 aprile 1519, pochi giorni dopo aver compiuto 67 anni, Leonardo dettò il proprio testamento al notaio reale Jean-Guillaume Boreau. Morì nove giorni dopo, il 2 maggio 1519.
Molti suoi biografi ci dicono che re Francesco I si trovava a duecento chilometri di distanza da Amboise, a St-Germain-en-Laye, per celebrarvi la nascita del suo secondo figlio, che in seguito divenne re Enrico II e sposò la fiorentina Caterina de’ Medici, prima di morire in un torneo, con un occhio perforato da un colpo di lancia.
Il cardinale Federico Borromeo (1564-1631), grande collezionista d’arte, scrisse nel suo libro Museum: “Dicono che Leonardo cessò d’essere fra le braccia del re Francesco I: un onore straordinario per un artista!”
Il primo a gettar dubbi sul racconto di Giorgio Vasari, accettato dal Borromeo, che lo vede spirare nelle braccia di re Francesco I fu nel 1850 Léon de Laborde. Egli trovò un decreto reale datato 3 maggio 1519, firmato a St-Germain-en-Laye e dato che tale località si trova a due giorni di carrozza da Amboise egli ritenne impossibile che re Francesco sia stato con Leonardo in quel fatale 2 maggio. Ma già nel 1856, Aimé Champollion fece notare in un suo articolo che il decreto reale portava la dicitura sopra alla data di “Par le Roy” apposta dunque dal cancelliere reale e questo pare una prova di quanto sostiene il Vasari: il re era ad Amboise il giorno precedente e quindi al capezzale di Leonardo. Inoltre, Gustavo Uzielli fece notare che il re firmava i documenti e in seguito il cancelliere vi poneva la data del giorno in cui il sigillo reale veniva posto per validarli.
Nella prima edizione della vita di Leonardo, datata 1550, Giorgio Vasari aveva scritto: “Finalmente venuto vecchio, stette molti mesi ammalato; e vedendosi vicino alla morte, disputando de le cose catoliche, ritornando nella via buona, si ridusse alla fede cristiana con molti pianti; laonde confesso e contrito, se ben non poteva reggersi in piedi, sostenendosi nelle braccia de’ suoi amici e servi, volse divotamente pigliare il Santissimo sacramento fuor del letto. Sopraggiunseli il re, che spesso et amorevolmente lo soleva visitare; per il che egli per riverenza rizzatosi a sedere sul letto, contando il mal suo e gli accidenti di quello, mostrava tuttavia quanto aveva offeso Dio e gli uomini del mondo non avendo operato nell’arte come si conveniva. Onde gli venne un parossismo messaggiero della morte; per la qual cosa, rizzatosi il re e presoli la testa per aiutarlo a porgerli favore acciò che il male lo alleggerisse, lo spirito suo, che divinissimo era, conoscendo non potere avere maggiore onore, spirò in braccio a quel re, nella età sua di LXXV”.
Nella sua seconda edizione del Vasari, del 1568, tutte le allusioni allo spirito ateo di Leonardo furono censurate.
Il suo racconto degli ultimi istanti di Leonardo Da Vinci sembra molto vivido e credibile, anche se tutti i biografi moderni tendono a metterne in dubbio la sua veridicità, forse leggendovi una sorta di tradimento da parte di quel Leonardo Da Vinci che si sono costruiti nella propria immaginazione.
Il funerale di Leonardo si svolse tre mesi dopo la sua morte: il 12 agosto e fu seppellito nella chiesa di St Florentin ad Amboise. Non è mai stato chiarito perché ci vollero tre mesi per organizzare la sua sepoltura, ma forse fu sistemato in una tomba provvisoria.
Nel testamento, Leonardo chiese d’essere sepolto nella chiesa di St Florentin ad Amboise, definendo in dettaglio come organizzare il proprio funerale: “…vole che ale sue exequie siano sexanta torchie le quale saranno portate per sexanta poveri ali quali seranno dati danari per portarle a discretione del dicto Melzo le quali torzi saranno divise nelle quattro chiese sopradicte. Item el dicto Testatore dona ad ciascheduna de dicte chiesie sopradicte diece libre cera in candele grosse che seranno messe nelle dicte chiesie per servire al dì che se celebreranno dicti servitii. Item che sia dato ali poveri del ospedale del ospedale di Dio alli poveri de Sacto Lazaro de Amboysia, et per ciò fare sia dato et pagato alli Tesorieri depsa confraternita la summa et quantità de soysante dece soldi tornesi…”.
È stato fatto notare che non toccò i dettagli di come doveva essere la bara o quel che andava scritto sulla propria tomba – magari un segno che non gli importava più di tanto del proprio corpo, perché sapeva, lui che aveva sezionato tanti cadaveri, come la macchina corporea sia costituita e come rapidamente deperisce.
Il 15 marzo 1560 s’ebbe una rivolta ad Amboise guidata dalla nobiltà calvinista francese per liberare il re Francesco II dalla influenza dei Guisa, e finì in una carneficina. I calvinisti s’opponevano al culto dei defunti e, sfortunatamente, molte tombe furono distrutte in quella zona, e molte chiese cattoliche furono rase al suolo.
Nel settecento, Venanzio de Pagave (1721-1803) consigliere del governo austriaco di Lombardia e grande collezionista d’arte, andò ad Amboise alla ricerca della tomba di Leonardo, ma non vi trovò nulla.
Nel 1808 Napoleone inviò il senatore Roger Ducos a seguire certi lavori di restauro ad Amboise. La chiesa di St Florentin era in rovina e il Ducos ritenne che non valeva la pena di preservarla. Tal Jules Duchatellier, figlio d’un delegato di Ducos, disse che suo padre gli raccontò che Leonardo stava sepolto nella cappella. La cappella venne comunque demolita; le pietre vendute e il piombo dalle bare fuso per fare pallottole. Tutte le ossa che contenevano furono buttate fuori e ammucchiate da una parte. V’è una storia piuttosto macabra, non confermata, su dei ragazzi che giocarono a calcio con i teschi, finché un pio giardiniere di nome Goujon, angosciato dalla vista, li fece riseppellire nel cortile.
Forse non tutte le tombe furono aperte e non si sa se Leonardo sia stato deposto in una di quelle. Nel 1863, lo scrittore Arsène Houssaye, un altro entusiasta di Leonardo e amico di Joséphin Péladan, andò a cercarvi la sepoltura di Leonardo.
Iniziò a scavare con tre squadre diverse e trovò subito uno scheletro completo – alcuni dicono con tre femori- che aveva un braccio piegato, e un teschio in mano. Riferì che nelle vicinanze trovò anche dei frammenti d’una lastra con le lettere LEONE INC e in un altro con EU DUS VINC. Quei frammenti di marmo e le ossa andarono poi perdute. Le dimensioni del teschio, secondo Houssaye, erano superiori alla media – credenza molto viva in quei tempi – e dunque bastavano a spiegare il genio e decise d’aver trovato quel che cercava: le ossa furono prima chiuse in una cassetta, che andò perduta e che poi riapparve di nuovo e sarebbero poi state sepolte assieme ad altre nella cappella di St. Hubert, con una lastra sopra, con l’indicazione che lì si pensa riposino i resti mortali di Leonardo. Gustavo Uzielli, che nutriva poco simpatia per l’Houssaye, scrisse che: “Le mie indagini ulteriori mi hanno confermato essere la relazione da lui pubblicata un romanzo fantastico.” Inoltre, la sua tomba si trovava nel chiostro e non nella chiesa, luogo dello scavo del Houssaye.
Alessandro Chiappelli (1857-1931), ministro per l’educazione del regno d’Italia, provò a far cercare i resti mortali di Leonardo seguendo le vie ufficiali, ma gli fu risposto dal suo omologo francese che era impossibile, dato che non ne resta nulla. Le guerre di religione e la rivoluzione francese avevano causato la distruzione di tutte le tombe.
Abbiamo spiegato questo per sottolineare il fatto che solo con un grosso colpo di fortuna si potrà trovare un osso con del midollo appartenuti a Leonardo e sciogliere il mistero di chi fu sua madre.
Terminiamo questo excursus proponendo una diversa strada, che per quanto ne sappiamo non è mai stata davvero battuta. Si dovrebbe condurre una ricerca a Vinci alla ricerca dei discendenti del Accattabriga e di Caterina, perché certamente qualcuna delle loro figlie generò dei figli e scavando negli archivi di Vinci, invece che inseguire la traccia di Leonardo, si potrà cercare Caterina e risalire così sino agli elusivi cromosomi XX del suo patrimonio genetico.
Questa strada del DNA mitocondriale materno era stata seguita anche per identificare lo scheletro di re Riccardo III scoperto sotto a un parcheggio, a Leicester, nel 2012. Il DNA materno dell’ultimo dei Plantageneti, fu fornito da una ignara signora, sua 17ma discendente, che viveva in Canada.
Forse, con un po’ di fortuna, potremmo giungere anche al DNA materno di Leonardo Da Vinci, seguendo la traccia delle nascite e dei battesimi a Vinci.
Angelo Paratico