Sono una mamma cattiva? Perchè si comporta così e dove ho sbagliato? Devo sgridare mio figlio o devo assecondarlo per non farlo piangere? Come diventerà da grande? Queste sono solo alcune delle domande che la maggior parte dei genitori si fanno. Sottolineiamo “diventano” perchè la prima rassicurazione che si può dare è che genitori non si nasce, ma si diventa. Anche se non esistono manuali per le istruzioni che dicano come diventare genitori impeccabili, ci sono però alcune indicazioni e consigli sui quali è possibile riflettere. Per prima cosa si deve evidenziare che, sin dai primi momenti in cui si diventa genitori, si scatena un’amplificazione di emozioni che vanno dalla gioia alla tristezza, dall’amore e orgoglio alla rabbia e impotenza, passando persino da stati di frustrazione e agitazione: tutto questo non fa altro che mettere a dura prova la nostra pazienza e capacità di gestire lo stress di certe situazioni.
Quanti pensieri passano per la testa delle mamme e dei papà.. e chi dà loro le risposte? No, non sei una mamma cattiva se sgridi i tuoi figli. Non sei una mamma colpevole se a volte lasci il piccolo a giocare da solo, quando desidereresti più di tutto metterti giù e riposare lontano da tutti. Non sei una mamma indegna se ordini pizza per cena perchè non hai avuto il tempo per preparare qualcosa. Questi momenti possono accadere a tutti. Bisogna dire chiaramente che essere genitori non è un compito semplice di per sé, sopratutto se ci aggiungiamo tutti gli impegni lavorativi ed extra che occupano tutte le nostre giornate. Non è facile essere presenti e supportivi con i figli quando ci si sente già stanchi e nervosi: il capo, i colleghi, il coniuge assente, la famiglia, i suoceri, l’auto che si ferma e chi più ne ha più ne metta. Può capitare, talvolta, di non sopportare i figli e, nei momenti di massimo stress, di vederli proprio come un peso. Non bisogna dimenticare, però, che anche in questi momenti di difficoltà loro hanno bisogno di sentirsi lo stesso amati: basta poco per farli felici, un abbraccio sentito, un bacio, un “in bocca al lupo” prima di fare un esame. Educare i figli è un impegno non di certo facile, ma per iniziare si dovrebbero lasciare alle spalle certi costrutti e certi preconcetti che ci portiamo dietro come se fossero dei dogmi perfetti. Vediamo brevemente alcuni di essi.
“Mai senza di me”.
Alcuni genitori assumono una protezione estrema e compulsiva. Innanzitutto bisognerebbe evitare di essere troppo protettivi e troppo presenti: è importante trasmettere sicurezza ai bambini, ma ciò non avviene se i genitori, davanti al timore dei pericoli esterni, abusano del controllo per proteggerli. L’atteggiamento iperprotettivo che limita i figli sotto una campana di vetro, determina la crescita di individui che non conoscono se stessi, incapaci di riconoscere e regolare le loro emozioni e che ignorano le loro necessità e desideri.
“ Il rapporto tra madre e figlio è paradossale e per un senso tragico. Richiede il più intenso amore da parte della madre e tuttavia questo amore deve aiutare il figlio a staccarsi dalla madre e diventare indipendente” (Erich Fromm).
“Ti proteggo io da tutto e tutti”.
Un aspetto legato al precedente è l’errore che spesso i genitori fanno di pensare di dover evitare ai figli le sofferenze che hanno attraversato loro durante l’infanzia e quindi assecondano ogni loro richiesta pur di non deluderli o farli star male. In primis bisogna accorgersene e differenziare ciò che è nostro e fa parte della nostra storia personale e ciò che appartiene al bambino nel momento presente. E’ errato comportarsi come se si volesse riscattare le sofferenze della propria infanzia: i figli hanno esigenze, bisogni, desideri diversi da quelli che appartenevano a noi genitori.
L‘insicurezza nei piccoli viene trasmessa anche da tutti quei comportamenti da parte dei genitori che trasmettono il messaggio “non fidarti del resto del mondo, fidati solo di me” oppure “il mondo esterno è pericoloso, stai attento”: messaggi potentissimi che limitano i piccoli nella costruzione delle loro esperienze nel mondo e che impediscono loro di provare a fare cose nuove, anche le più semplici “perchè magari mi accade qualcosa di pericoloso” (ovviamente non mi riferisco alle esperienze obiettivamente pericolose o minacciose) o che svilupperanno una relazione di dipendenza da parte dell’altro “perchè da solo non posso farcela”. “L’infanzia non è semplicemente un tempo di preparazione alla vita, come sovente siamo portati a pensare, ma è già vita essa stessa” (Peter Rosegger).
“Se fai tutto giusto sei un bravo bambino”. Ecco, guai a non sbagliare nulla. Il controllo costante e le aspettative smisurate sulle loro prestazioni scolastiche o sulle loro attività sportive, sono due atteggiamenti non utili nella costruzione della personalità dei figli. Esigere la perfezione ed educare i figli basandosi sui massimi risultati determina lo sviluppo di un atteggiamento esigente verso sé stessi e una bassa tolleranza alla frustrazione, dove gli insuccessi non sono accettabili e gli errori sono vissuti come completi fallimenti di sé stessi. La pressione estrema impedisce ai bambini di godere degli obiettivi raggiunti, seppur minimi o non perfetti. Ciò che attraversa emotivamente questi bambini è un vissuto di umiliazione, ansia e delusione verso sé stessi. Una partita di calcio non è solo fare gol, ma sudare, dare il massimo, ridere con i compagni e fare dei ruzzoloni e rialzarsi come se nulla fosse. E’ importante far capire loro che sbagliare è possibile e, dato valido anche per noi adulti, fa parte dell’esperienza.
“I figli devono solo ascoltare i genitori”.
Bene. E chi ascolta loro?
E’ importante ascoltare i figli dando importanza ad ogni loro parola e discorso, ad ogni loro sentimento e pensiero. E’ fondamentale trasmettere la nostra intenzione di non volerli giudicare, non volerli condannare, solo accogliere le loro motivazioni e sentimenti, e aiutarli nel dare significato a ciò che accade loro: “Le parole hanno il potere di distruggere o di risanare. Quando sono vere e gentili, possono cambiare il mondo” (Buddha). Un aspetto che può aiutare molto in una comunicazione sincera ed autentica è la condivisione con i figli delle proprie esperienze: che siano attuali o riferite al passato, riguardanti episodi o sentimenti, questo aspetto fa sì che i genitori non vengano solo visti come le autorità da rispettare e da tenere sul piedistallo, bensì li rende più umani agli occhi dei figli. Questa vicinanza emotiva ed affettiva facilita il consolidarsi di un rapporto di fiducia. E’ fondamentale essere sinceri ed autentici nella comunicazione, ed essere sinceri implica anche e sopratutto il chiedere scusa e riconoscere i propri errori. Ecco due ultime indicazioni: – quando hanno bisogno di parlare con voi, chiedete loro se si aspettano un consiglio, un aiuto nel risolvere una situazione o solamente desiderano sfogarsi. In questo modo riuscirete a comprendere come intervenire in modo da non risultare invasivi o inopportuni. – non date delle sentenze sul loro comportamento che possa ricadere sulla loro persona, del tipo “sei cattivo se hai fatto questo” oppure “non dovevi arrabbiarti”: voi non potete sapere ciò che provano, saranno loro a dirvelo e, in ogni caso, non si deve mai giudicare un loro stato emotivo.
“Io sono come un amico per mio figlio”.
Errore. Bisogna essere prima genitori e poi amici. I figli hanno bisogno di essere ascoltati, accolti e compresi, come fanno i migliori amici. Ma la cosa fondamentale è che i genitori devono essere in grado di contenerli ed aiutarli ad orientarsi, fissando per questo anche dei limiti e delle regole. Questo significa che nella relazione tra genitori e figli debbano esistere anche i “NO”. L’obiettivo dei genitori è quello di educare: invece, essere sempre troppo permissivi o troppo complici con i figli porta una certa confusione nel proprio ruolo. Confusione determinata anche da altri atteggiamenti che si possono mostrare nei loro confronti. Un po’ come si è detto in precedenza, si può comunicare e ci si può confidare con i figli sulle proprie esperienze passate, che ci vengono in mente in risonanza con ciò che accade loro nel qui ed ora, ma dobbiamo ricordarci che i nostri problemi o le nostre ansie non devono pesare loro. Possiamo esprimere il nostro stato di stanchezza, tristezza o preoccupazione, ma spesso accade che in automatico si parli con loro dei litigi col papà, dei battibecchi di famiglia con i suoceri o delle avventure delle colleghe. C’è un tempo per ogni cosa: sappiate distinguere ciò che le loro piccole orecchie sono in grado di ascoltare e ciò che, invece, si deve correttamente tenersi per sé.
“Le emozioni provate nei primi anni di vita, e altre sensazioni che hanno suscitato gioia e dolore, lasciano tracce indelebili che condizioneranno le nostre azioni e reazioni nell’intero corso dell’esistenza.” (Rita Levi Montalcini).
Se avete domande o altro sull’argomento scrivete a lorenza2@alice.it e nel caso, di risposte più “personali” ricevo su appuntamento a Bareggio.