Un Storia vera… eravamo nel’ormai lontano 2000, era Novembre, Gerusalemme, quartiere ortodosso di Gilo. Questo è un pensiero che scrissi in quel periodo, Visto che non ho niente da fare, non partecipando a rievocazioni di battaglie, ve ne racconto una vera che ho visto con i miei occhi.
Sono seduto in un bar nel centro di Gerusalemme sono stanco ed ho una fame che mi tormenta da oggi a mezzogiorno. Qualcuno mi ha detto che stanotte bombarderanno Bet Jala e Betlemme. Sono proprio stanco e ho solo voglia di svagarmi, restare seduto ad ascoltare un po’ di musica e gustarmi questo enorme panino, che ho davanti. Per i reportage ci penserò domani, credo che bombarderanno ancora, forse da qualche altra parte, qui ormai sono tutti impazziti. I ragazzi e le ragazze seduti nel bar ridono, stanno aspettando l’ora giusta per andare in discoteca. Sono sicuramente tutti soldati e magari questo è il loro unico momento di “libertà”. Io fatico ancora a respirare, la gola mi brucia causa i gas respirati oggi a Ramallah. Oggi è stata davvero dura in quella città, i bambini dell’intifada erano più arrabbiati del solito. I soldati hanno colpito due persone sto pensando a loro, un bimbo mi ha detto che sono morti, chissà. Anche oggi mi è andata bene, i colpi che li hanno feriti o uccisi (non ho notizie certe), hanno sfiorato anche me. Intanto addento il grosso panino, da cui fuoriesce una stupenda insalata. E’ da oggi a mezzogiorno che sognavo di mangiare, pensieri confusi si rincorrono nella mia mente. “No proprio no, ancora stanotte a vedere bombe, no credo che andrò anch’io in discoteca stanotte”. Volto lo sguardo e vedo Marco. Un saluto in lingua italiana a migliaia di chilometri dall’Italia mi solleva di più che l’enorme panino che sto sbranando. Dopo il “ciao” vuole sapere come mi è andata oggi. Lui si trova qua per conto di una ditta italiana, è un tecnico e sta montando dei macchinari tessili. “Sai” gli racconto “oggi è stata davvero dura, prima gli israeliani che hanno aperto il fuoco, anche verso noi giornalisti. Poi sono riuscito a passare dall’altra parte, e al mio rientro sono stato fermato da uomini in borghese armati fino ai denti che mi hanno fatto parecchie domande, presumo che fossero uomini di hamas. Forse, gli israeliani, hanno ucciso due palestinesi che si trovano a pochi metri da me”.
Lui rimane impressionato dal racconto, ha girato il mondo, ma per lavoro, solo il fatto di essere, tutti i giorni, accompagnato alla fabbrica dove lavora da una scorta militare armata, gli fa paura. Gli propongo una “gita” fuori porta “Sai mi hanno detto che stanotte attaccheranno Betlemme, andiamo a vedere il bombardamento”. Mi risponde a tono “Ma sei pazzo, io non mi muovo di qui, è gia troppo che sono in Israele, se fosse per me rientrerei subito in Italia”.
In quel momento entrano nel locale Gad e Alain, si avvicinano rapidamente al nostro tavolo e colgo l’occasione per informarmi sul futuro bombardamento. “Sapete sono stanco, ma se Marco decide di andare a vedere, prendiamo un taxi e andiamo a Gilo, li la zona dovrebbe essere sicura forse riesco a scattare anche due foto dei bombardamenti”.
Inizia un animata discussione tra noi quattro, Marco a paura, io che non sono convinto che bombardino, Alain che dice “mal che vada hai visto il quartiere di Gilo”. Decidiamo cosi di partire. Usciamo dal bar e fermo il primo taxi, inizia un estenuante trattativa sul compenso e si decide di partire. Forse sperando di non farsi capire in francese Alain mi dice che il tassista è palestinese, e per lui sarebbe pericolosissimo entrare in Ghilo, uno dei quartieri più ortodossi della città. Mi rivolgo all’autista e gli chiedo se lui è palestinese e se non ha paura, lui per tutta risposta mi dice “ci sono molti posti di blocco, non riusciremo ad entrare a Ghilo, quindi fino là per me non ci sono problemi”. Le sue affermazioni sono vere, manca ancora qualche chilometro e veniamo fermati, scendo dall’auto e mostro la tessera di accredito stampa del governo Israeliano, un attimo di animata discussione poi i soldati alzano la sbarra e ci fanno cenno di passare. Il nostro autista è terrorizzato, lui non sapeva che io avessi degli accrediti stampa, ed ora lui palestinese si trova nel quartiere più ortodosso di Gerusalmme. Riesco a leggere davvero il terrore nei suoi occhi. Inizia a balbettare, vuole fermarsi e tornare, io cerco di rassicurarlo in tutti i modi. Per rassicurarlo gli grido “Il taxi ha una targa israeliana se resti in macchina e non parli con nessuno non ti può capitare niente”. Cerco un posto dove possa parcheggiare il taxi in maniera sicura e gli diciamo di darci un paio d’ore che poi torniamo. Ma mentre mi allontano so già che al nostro ritorno lui non sarà più li, era troppo terrorizzato scapperà di sicuro. Non dico niente agl’altri, Gad e Alain non hanno paura, ma Marco è terrorizzato. Camminiamo speditamente verso la parte dove sono posizionati i cannoni e notiamo parecchia gente per strada. Ci sono gruppi di persone che chiacchierano, quasi come fosse una festa, alcuni ridono ma ben riparati dietro a grandi palazzoni che raffigurano, su una facciata, la prima linea. Genitori in pantofole stanno seduti coi loro figli in braccio davanti l’uscio di casa. Parlano li rassicurano, magari qualcuno di loro sta insegnando l’odio. Quasi non sembra una zona di guerra, ai miei occhi appare quasi come una folla radunata ad assistere ai fuochi artificiali. Raggiungiamo le batterie di cannoni, non le vediamo ma sappiamo che sono poste pochi metri sotto di noi e dall’altra parte le luci di Betlemme. Sto vedendo la città quasi fosse una bellissima cartolina. Solo ieri ero là ed ho visitato la grotta della natività. Qualcuno ci indica di stare al riparo, qualcun altro più in la ride, altri dietro grossi ripari in cemento discutono animatamente. Tutto mi appare strano, in un attimo mi passano in testa tutti i paesi in guerra che ho visitato, e qua non si può fare a meno di vedere la superiorità militare israeliana. Guardo Marco, sta parlando con Gad, chiede se spareranno davvero. Mi avvicino a lui e lo rassicuro, Betlemme è troppo distante, i Kalasnikov hanno un tiro effettivo di seicento metri, difficile che riescano dei proiettili ad arrivare fino a qui dove ci troviamo noi. Poi gli faccio notare un papà che sta passeggiando tranquillamente con la figlioletta, “non sono pazzo, non ti avrei mai portato in un posto dove potevi lasciarci la pelle. Da qua però possiamo vedere con i nostri occhi il bombardamento, se bombarderanno”. Non riesco a finire le parole, quando dei forti boati ci scuotono le orecchie e penetrano dentro fino alle nostre anime. Non è un film, là dov’è i proiettili arrivano, là della gente muore. Marco si getta a terra, quasi colto dal panico. Mi chino su di lui e gridando gli dico “siamo in zona sicura, siamo dalla parte di quelli che sparano”. Lo sguardo a cercare Gad e Alain, li vedo sdraiati sulla cima della collina, mi fanno cenno che è tutto a posto, invito Marco a raggiungerli e cerco da dove partono i colpi. Noto le batterie pochi metri più in là, vede le fiammate e comincio a correre verso di loro. Alcuni ebrei mi fanno cenno di ripararmi, ma ho in mente solo le fotografie e allora decido di scendere un po’ la collina, continuo a pensare “voglio a tutti i costi la foto ha testimonianza del bombardamento”. Nella mia testa ora solo la realizzazione della foto, non volevo essere qui, quindi non avevo un gran che con me e penso solo ai dati tecnici “i tempi d’esposizione sono lunghi, mi sarei dovuto portare il cavaletto, devo risolvere la mancanza” noto un albero con due rami biforcuti e a forza incastro la macchina fotografica. Calcolo i tempi d’esposizione e inizio in rapida successine a realizzare scatti da 30” di apertura. Mi siedo e mi guardo in giro, sono un po’ scoperto rispetto agl’altri, ma le mie “esperienze” vissute in zone di guerra non possono tradirmi. So di certo che i palestinesi non hanno armi che possano raggiungere il posto dove mi trovo. Cosi, un’altra volta, quasi come se fossi seduto in un cinema all’aperto, vedo la gente morire. Vedo la città, che fin da bambino, mi hanno insegnato ad amare di più, la città dove è nato Gesù, vedo Betlemme bombardata.
I miei pensieri si intrecciano, non so a chi dar ragione ho torto, non sento quasi i colpi di cannone che partono da pochi metri da me. La terra sussulta, quasi come colpita da un martello, ma il vero problema è il mio pensiero. “Non dovevo essere qui stasera, ero stanco, sarei rimasto volentieri in quel bar, ora dov’è la mia stanchezza, ci saranno bimbi laggiù dove arrivano i colpi, sono solo le nove cosa starà facendo mia figlia adesso. Cosa racconterò al mi ritorno. Chissà Marco cosa starà facendo”.
Sono seduto ed impotente osservo Betlemme che viene offesa a morte. I pensieri continua a rincorrersi e il dito continua a premere l’otturatore della macchina. Ora sono sicuro di avere le fotografie, stacco l’apparecchio dalla pianta e inizio a risalire la collina, alla ricerca dei miei compagni d’avventura.
Li raggiungo e trovo Marco in un visibile stato di tensione, balbetta, inveisce di tutto contro di me, lo rassicuro e gli faccio notare che stanno bombardando Betlemme e che nessuno ha ancora sparato nella nostra direzione. Decidiamo di ritornare a Gerusalemme, se ci saranno morti lo sapremo domani, ci allontaniamo sentendo sempre la stessa colonna sonora, no anzi, sentiamo il rumore di un paio di elicotteri. Ci soffermiamo a scrutare il cielo nero e li vediamo arrivare, fanno un ampio giro sopra di noi e poi spariscono nella notte. Camminiamo nel quartiere scrutati da mille occhi, le macchine fotografiche, il nostro abbigliamento, tutti capiscono che siamo stranieri.
In questo momento la tensione anche tra gli abitanti di Ghilo è altissima, sono molti ora anche qui i posti di blocco, la gente viene fatta allontanare, la notte fonda cala, ed i bombardamenti continuano. Il nostro tassista come previsto è scappato, non lo giudico penso che ha fatto bene, dico a Marco “non l’avevo neanche pagato, se lo vedrò domani in città gli darò i soldi di metà corsa”. Ed ora, come facciamo a rientrare, sono più di quindici chilometri per il centro. Alain mi dice di non preoccuparmi, più in là c’è una stazione di autobus, arriviamo nel momento giusto, un autobus è appena partito. Lo fermiamo, saliamo a bordo e Alain si sofferma a parlare col conducente.
Prendo il portafoglio e Gad mi fa segno che è tutto a posto, l’autista ha capito che sono un giornalista straniero e non ci fa pagare. Mezz’ora dopo siamo, di nuovo al bar, Marco ora ha un avventura in più da raccontare. Io resto col mio pensiero fisso, Betlemme, la città della natività bombardata.
Cosa penserò, al prossimo Natale, quando festeggeremo un ennesima volta la nascita di Gesù?.
Israele, Gerusalemme, Novembre 2000