Claudio Jaccarino è un fiume in piena quando lo incontro nel suo laboratorio in via Bergognone n. 1. Mi mostra i libri, le opere presenti nell’atelier e mi parla dei suoi progetti. Il laboratorio di cromografia ma anche altre iniziative che mi ha chiesto di mantenere riservate. Rispetto ai giovani artisti Claudio Jaccarino appartiene ad un’altra realtà, non solo per un fatto anagrafico, ma per almeno altre due motivazioni. L’essere arrivato ad un’età matura vivendo quotidianamente la propria arte e l’aver realizzato esperienze che ora sembrano impossibili da fare. Ribelle per necessità, data la dura educazione ricevuta in famiglia, famiglia che nel tempo ha avuto modo di conoscere meglio e apprezzare, anche nei suoi lati più austeri.
Prima l’esperienza politica con i Radicali, l’obiezione di coscienza e il lavoro nella segreteria del partito a Roma, successivamente attore teatrale e poi pittore, sí, ma a modo suo.
Il concetto di un’arte abituale viene spinto agli eccessi durante le sue camminate, quando dipinge all’aria aperta e ritrarre il mare significa semplicemente distribuire del blu sulla carta avida di umidità colorate, in un momento di totale immersione emotiva nel paesaggio che lo circonda.
L’arte per Claudio è relazione, sintonia. Principalmente realizza ritratti e paesaggi, in entrambi i casi l’output conta poco, ad essere rilevante è il processo, l’armonia, la compenetrazione che si realizza con l’oggetto ritratto. Mi dice “avrò più di mille ritratti qui, ma non sono mille fogli di carta o mille tele, sono mille incontri, mille relazioni umane che anche se per un breve momento si sono realizzate, e l’oggetto della mia ricerca non ha a che vedere con la pittura ma con le relazioni umane”.
Questo modo di fare è per Claudio una filosofia di vita, parlando di politica oltre a dirmi che da utopista è passato a considerare la ricerca di utopia un estremismo, mi dice che è inutile per la politica voler raggiungere un risultato se per farlo occorre seguire strade che lo tradiscono aggiungendo che “negli strumenti utilizzati si prefigura il fine perseguito”. Insomma non è machiavellico: per Jaccarino il fine non giustifica il mezzo. Una meravigliosa esperienza di vita in Argentina con la compagnia di teatro Comuna Baires: un nuovo mondo da voler costruire in America Latina dove, già sposato e con due figli, si trasferisce con altre famiglie e vive dall’84 al ’95. Il successivo rientro in Italia porta il sapore amaro della sconfitta, difficoltà economiche incombono e un senso di fallimento lo avvolge. Da lì il processo più intimistico dell’acquerello, un’indagine su se stesso.
Oggi Claudio Jaccarino ha un calendario fitto di eventi che lo vedono coinvolto in varie iniziative in giro per l’Italia, l’anno scorso ha partecipato ad un festival di acquerello in Cina, diversi libri all’attivo e un laboratorio da gestire. Innumerevoli le collaborazioni, gli incontri, ma sempre pronto a ricominciare, infatti mi confida che ha iniziato la ricerca di uno spazio a Milano per poter continuare la sua attività e realizzarne di nuove.