L’illusione “dell’ultima guerra, la guerra che porrà fine a tutte le guerre”
La Prima Guerra Mondiale rappresenta uno spartiacque decisivo nella storia del Novecento. Alla fine del conflitto, il panorama istituzionale europeo è radicalmente mutato: quattro imperi (austro-ungarico, ottomano, russo e tedesco) sono scomparsi. Qu
elli di più antica fondazione – i primi tre- presentano da decenni numerose problematiche, esacerbate dallo scoppio e dallo svolgimento della guerra. Divisi e poi sostituiti da nuovi Stati, gli ex imperi vivono una fase di instabilità, di diversa entità e durata a seconda delle condizioni precedenti al 1914 e all’esito del conflitto. Questa incertezza non rimane circoscritta all’ambito politico-amministrativo ma riguarda anche i civili e i soldati di ritorno dal fronte. La vita alienante nelle trincee e la mobilitazione dei cittadini per sostenere lo sforzo bellico, in una società sempre più militarizzata, hanno lasciato un segno profondo nell’opinione pubblica dell’epoca. Conclusa “l’inutile strage”, la richiesta di un ordine nuovo ed equo non può essere ignorata; tuttavia essa stride con la volontà di punire i vinti, in particolare la Germania- considerata, soprattutto da parte francese, come la principale colpevole dello scoppio della guerra. Infine, enfatizzare il principio di autodeterminazione avrebbe potuto favorire lo sviluppo di ulteriori nazionalismi, già presenti dopo il collasso di realtà multietniche. Disegnare la nuov
a carta politica europea, compito che spetta alla Conferenza di Versailles, non è perciò semplice. I testi dei trattati sono stilati dalle potenze vincitrici, cioè Francia, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti. La Germania deve perciò accettare provvedimenti presi da altri, perde una parte del suo territorio e si impegna a pagare ingenti riparazioni di guerra. La fine dell’impero austro-ungarico porta vantaggi ai popoli slavi e all’Italia. Si formano la Polonia, la Cecoslovacchia e la Jugoslavia. Dalla dissoluzione della Russia zarista derivano l’Estonia, la Finlandia, la Lettonia e la Lituania. A tutela del nuovo equilibrio nasce, su ispirazione del Presidente Usa Woodrow Wilson, la Società delle Nazioni. L’istituzione internazionale è però depotenziata in partenza, dato che gli Stati Uniti, la Russia e la Germania non vi aderiscono. Negli anni successivi le potenze sconfitte partecipano a diverse conferenze sovranazionali, ma gli accordi che ne derivano sono parziali, in molti casi bilaterali, stipulati al di fuori dell’egida della Società delle Nazioni. Nel 1922 la Russia sovietica e la Germania si incontrano a Genova con i vincitori, rinunciando a sollevare rivendicazioni territoriali. Nonostante la posizione dei due paesi resti debole, un miglioramento arriva tra il 1924 e il 1925, quando l’Unione Sovietica è riconosciuta da buona parte della comunità internazionale e la Germania, finita l’occupazione francese del bacino carbonifero della Ruhr, accetta i confini della frontiera franco-tedesca con il Trattato di Locarno ed è ammessa nella Società delle Nazioni nel 1926. Lo ‘spirito di Locarno’, cioè la ricerca di una fattiva collaborazione nella politica europea, si ritrova anche nel Patto di Parigi del 1928. Il trattato, i cui principali promotori sono il ministro degli Esteri francese Aristide Briand e il Segretario di Stato americano Frank Kellogg, si propone di risolvere pacificamente le controversie internazionali. L’equilibrio raggiunto è però estremamente fragile, non regge su solide basi di sostegno reciproco e si incrina definitivamente con la crisi del 1929.
Annachiara Blandino