È “il piacere dello stare insieme” ciò che lega delle donne profughe ivoriane a Claudia, Martina, Milagro, Alessia e Marco, i cinque volontari che da oltre un anno scaldano il cuore di Cascina Calderara.
Sono giovani studenti fortemente motivati nel sociale, accomunati da quel tratto umano che permette loro di abbracciare qualsiasi realtà, anche le più difficili.
Nulla di caritatevole, non si tratta di soffermarsi alla benevolenza fatta per pietà. Anzi, questi ragazzi sono andati ben oltre le mansioni socialmente utili di un qualsiasi centro di accoglienza profughi, “accettando proposte diverse, come quella di dar vita ad uno spettacolo, cercando di creare relazioni”, ci dice la direttrice del gruppo volontari Sara Belfattà.
È la voglia di amarsi per ciò che si è -esseri umani- e di conoscersi e rispettarsi anche tra le diversità culturali che ci distinguono.
E proprio per tali diversità è facile dirlo, ma non altrettanto farlo. Molto spesso bisogna, come afferma Martina, “avere il braccio di ferro e non abbattersi ad ogni difficoltà, cercando altre vie comunicative”. Uno spirito di iniziativa ammirevole, volto a dimostrare quanto (non) sia una questione di “coperta troppo corta”.
Insomma, sembra di capire che non servono supereroi o piani di integrazione nazionali per aiutare chi ne ha bisogno. Ma soprattutto, sembra che per far fronte alla questione profughi non sia necessario “incatenarsi davanti alla prefettura” o incutere il timore dell’avvento di un nuovo ghetto. Non servono neanche le parole, ed è meglio così. Poiché è bene sapere che, coloro i quali parlano contro Cascina Calderara, fanno del male anche a questi giovani volontari, tutti nati sotto lo stesso campanile.
Intanto…. in occasione dello spettacolo “Non è un film”, la redazione di CorriereAltomilanese.com ha avuto modo di conoscere questi ragazzi più da vicino, dando voce al loro impegno.