La lingua italiana è una lingua viva, in continua evoluzione, che attraverso i mutamenti storici, sociali e tecnologici, cambia e si adatta allo stile di vita della società.
Negli ultimi trent’anni con l’uso di computer e cellulare, da parte della stragrande maggioranza degli italiani, sono stati introdotti termini presi in prestito dal linguaggio informatico: web, chat, social network, spam, e-mail….
Con l’evoluzione del mondo del lavoro e i sempre più frequenti accordi internazionali tra imprese, ci siamo abituati a descrivere modi e azioni d’ impresa in inglese: marketing, joint venture, workshop, team, deadline, feedback, misssion, core business, vision…
Questa evoluzione del linguaggio però non è avvenuta riguardo alle professioni , che sono ancora in maggioranza declinate solo al maschile, anzi ci sono ancora molte resistenze, anche da parte delle donne che detengono uno status professionale o istituzionale.
In Italia numerosi studi, a partire dal lavoro Il sessismo nella lingua italiana di Alma Sabatini, pubblicato nel 1987 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, hanno messo in evidenza che la figura femminile viene spesso svilita dall’uso di un linguaggio stereotipato che ne dà un’immagine negativa, o quanto meno subalterna rispetto all’uomo. Inoltre, in italiano e in tutte le lingue che distinguono morfologicamente il genere grammaticale maschile e quello femminile (francese, spagnolo, tedesco, ecc.), la donna risulta spesso nascosta “dentro” il genere grammaticale maschile, che viene usato in riferimento a donne e uomini (gli spettatori, i cittadini, ecc.)
Ci sono il cassiere e la cassiera, il parrucchiere e la parrucchiera, il sarto e la sarta, il portiere e la portiera, il bidello e la bidella. Perché allora gli architetti, gli ingegneri, i deputati, gli assessori e i chirurghi restano al maschile? La lingua, a quanto pare, ha bisogno di tempo, molto tempo, e solo ora comincia ad abituarsi al fatto che la donna, con gli anni, sia riuscita a diventare, oltre che cassiera, parrucchiera, sarta, portiera e bidella, anche architetta, ingegnera, deputata, assessora e chirurga. L’Accademia della Crusca non impone, dunque, ma vivamente consiglia di aggiornarsi.
Spesso sento dire che certe professioni declinate al femminile “suonano strano”. Non perche’ sia scorretto dire “ministra” o “sindaca”, ma perche’ finora e’ stato infrequente. Questo non lo rende auotomaticamente sbagliato.
Decenni fa, parole come “infermiera”, “maestra”, “nuotatrice”, etc. suonavano altrettanto strane. Eppure erano corrette. E’ solo una questione di farci l’orecchio.
Una delle argomentazioni più ferquenti “se dici sindacA devi dire anche autistO” è assolutamente priva di fondamento, perchè parole come “autista” non sono femminili, derivano dal suffisso -a del neutro latino. Stessa storia per i nomi in -iatra (pediatra, fisiatra): non sono femminili solo perché’ sono in -a. Derivano dal greco. Non si declinano ne’ al maschile ne’ al femminile, al contrario di parole che hanno un genere come dottore e dottoressa.
E’ sufficiente leggere le didascalie che accompagnano foto o video di ministre, avvocate, ingegnere, per capire come ” suoni strano” che un avvocato abbia le tette o un sindaco vesta tailleur Chanel e tacchi 12.
Usare il femminile quando richiesto non e’ un capriccio: e’ un appropriazione di ruoli che fino a pochi anni fa erano di solo appannaggio maschile.
Dovrebbe essere motivo di orgoglio, per una donna che ricopre un ruolo di prestigio, essere considerata “in quanto donna” e dimostra che sono le capacità, lo studio e il lavoro personali a rendere prestigiosa una carica istituzionale o una professione, non il nome al maschile.
Video di Guglielmo Audenino, Sara Burgio, Giacomo D’Ancona. Filmato ideato e realizzato, con il patrocinio della Città di Torino, per il progetto ‘Potere alla Parola – Comunicare la differenza’ di Se Non Ora Quando e Salone Internazionale del Libro Torino. Produzione: Centro Sperimentale di Cinematografia, Sede Piemonte, Dipartimento Animazione. Italia, 2016
foto di copertina: Senonoraquando-Lodi