ANGELO PARATICO SCRIVE: Aldo Schiavone, uno storico di valore, è stato sulle prime pagine dei giornali nei giorni scorsi, per via della sua assoluzione, dopo un calvario durato vari anni, una volta stabilita la non sussistenza dei crimini di cui era stato accusato. Galli della Loggia, sul Corriere della Sera, ha descritto questa vicenda kafkiana e mi ha convinto a leggere un suo bellissimo libro, uscito nel 2016, con Einaudi, intitolato “Ponzio Pilato. Un enigma fra storia e memoria.”
La figura di Ponzio Pilato mi ha sempre affascinato e il libro di Schiavone è il più completo e attendibile mai dedicato al prefetto romano, che si trovò a dover giudicare Gesù Cristo.
A parte i capolavori letterari di Michail Bulgakov e Anatole France, gli unici documenti disponibili su Pilato restano i Vangeli, soprattutto quello di Giovanni, di Flavio Giuseppe, di Filone d’Alessandria, un breve riferimento di Tacito e, infine, una straordinaria epigrafe scoperta a Cesarea negli anni Sessanta del secolo scorso.
Circa la sua nascita e la sua fine non sappiamo nulla di certo, non conosciamo il suo prenomen, forse Tito oppure Lucio, ma doveva essere nato nella nostra penisola, non in Spagna o altrove. Certamente apparteneva all’ordine equestre e quel Ponzio suona sannita, Gavio Ponzio Selenita nel 321 a.C aveva sconfitto i romani alle Forche Caudine. Raccogliendo vecchie leggende anni fa posi la sua nascita a Bisenti, in Abruzzo, ma non v’è certezza di questo, così come non sappiamo se fu davvero protetto da Seiano, anche se parrebbe di no, dato che restò al proprio posto sino al 36. L’esecuzione di Gesù dev’essere avvenuta verso l’anno 30 e Seiano cadde nel 33.
La centralità di Ponzio Pilato nei Vangeli è innegabile e la si evince dal fatto che egli è l’unico ad avere un dialogo diretto con Gesù. Che lingua usarono? Forse l’aramaico, non il greco o il latino, ma non ci sarebbe da stupirsi se ci fu un interprete presente, una pratica già comune in quei tempi.
Certe conclusioni raggiunte da Schiavone sono davvero sorprendenti, eppure assolutamente logiche e anzi ci troviamo a pensare: “Perche’ non ci avevamo pensato prima?” Per esempio, non è vero che vi furono folle sotto al balcone della torre Antonia, dove risiedeva Pilato e il processo dev’essere stato tenuto al cospetto d’una dozzina di persone, al massimo.
Non è vero che Pilato se ne lavò le mani, essendo quella una pratica giudaica, non romana e un prefetto romano tutto d’un pezzo come fu Pilato non lo avrebbe mai fatto: era un uomo d’armi che poco stimava la cultura ebraica, lo sappiamo perché durante la sua carriera in Giudea questo atteggiamento lo mise spesso nei guai. Possiamo essere certi che in fondo li considerasse tutti dei pazzi furiosi e degli scocciatori.
Per quanto riguarda Gesù, dall’analisi del dialogo con Pilato si intuisce che egli non voleva difendersi, e non accettò alcun compromesso offertogli dai sacerdoti ebrei, né si prestò ai ripetuti tentativi messi in atto da Pilato per liberarlo. Il prefetto fu certamente impressionato da Gesù, dal suo contegno quieto e rassegnato, e per questo cercò in tutti i modi possibili, esponendosi anche di persona, di liberarlo, prima proponendo ai sacerdoti ebraici uno scambio con un pericoloso terrorista, come Barabba e fu molto sorpreso quando insistettero a volerlo far crocifiggere. Come spesso accadde, Pilato non aveva capito perché il sinedrio disprezzava tanto Gesù. Improvvisamente, questi gli rivelarono il vero motivo di tanto odio: gli dissero che doveva morire perché si era fatto “figlio di Dio”.
Giovanni racconta che nell’udire le loro parole ne fu spaventatissimo “mallon efobethe” in greco. Secondo Schiavone quello spavento era forse una forma di profondo stupore, da mettere in relazione con la figura magnetica di Gesù, che già doveva aver impressionato il funzionario romano. Pilato deve aver avvertito un brivido freddo corrergli lungo la spina dorsale e solo in quel momento ebbe la distinta impressione che quello non era uno dei soliti processi che era abituato a tenere, ma aveva fra le mani qualcosa di molto diverso, di ignoto e di misterioso. Sappiamo che Gesù aveva una personalità magnetica e un carisma che impressionava tutti.
Pilato riprese l’interrogatorio ma avvertiamo che tutto è cambiato, Pilato si sente a disagio, chiede a Gesù: “Di dove sei?”.
Una domanda strana che mostra la sua angoscia, infatti doveva aver già i dati essenziali dell’accusato e, certamente, conosceva pure le voci dei suoi miracoli.
Il punto più alto del loro dialogo è quando Gesù dice di essere la verità e Pilato risponde cos’è la verità? In tutto ciò Nietzsche sbagliò a vedere un’ombra di scherno nelle sue parole, Schiavone pensa che Pilato fosse davvero interessato a conoscerla quella verità, non si trattava del classico scetticismo romano contrapposto al dogmatismo religioso ebraico.
Giovanni scrive che Pilato stava per rilasciarlo ma fu minacciato dai giudei, i quali gli dissero che chi si fa re è nemico di Cesare. Pilato non era uomo facile da impressionare ma s’avverte una sorta di omissis nel racconto di Giovanni.
La conclusione di Aldo Schiavone non vogliamo rivelarla qui, togliendo al lettore il piacere di arrivarci. Degli indizi? Pilato permise a Giovanni d’Arimatea d’occuparsi del corpo di Gesù e, per dispetto, fece scrivere l’insegna con scritto “Gesù nazareno re dei giudei” da porre sulla croce, e non lo fece per schernirlo come si dice ma per concedergli un onore postumo. Infatti, i sacerdoti protestarono per quella insegna, ma Pilato li fece allontanare e non gli diede retta.
Angelo Paratico