Esperienza di vita importantissima per alcune classi del Liceo Quasimodo, in viaggio d’istruzione nei luoghi di una tragedia che rimarrà indelebile nei ricordi di tutti gli Italiani: il disastro alla miniera di Marcinelle (Belgio) avvenuto l’8 agosto 1956, dove, in seguito ad un incendio, morirono 262 minatori, tra cui 136 emigrati italiani.. Una visita, dunque, che deve lasciare un segno di memoria, indotto e rafforzato dal racconto di un reduce della miniera maledetta, Urbano Ciacci.
Bois du Cazier (MARCINELLE) – Il cielo belga è grigio, con qualche raggio di sole che tenta di farsi largo tra le nuvole che incombono su Marcinelle. I colli intorno, deserti, danno il benvenuto ad un folto gruppo di giovani studenti italiani, che stanno per varcare i cancelli della vecchia miniera, un luogo che ha lasciato un segno nella storia del mondo del lavoro occidentale. Un terribile fatto di cronaca che sconvolse le vite di numerose famiglie, anche della nostra penisola, migrate come rondini in terra fiamminga per trovare un’occupazione che potesse dare loro sostentamento dopo il Secondo Conflitto Mondiale. Tra le facce pulite e trasudanti interesse per ciò che si accingevano a vivere, degli studenti c’è anche colui che sta scrivendo, meditante sulla breve introduzione fatta, pochi istanti prima, dal professore del liceo Quasimodo di Magenta.
L’ingresso nella storica miniera (non mi sento di chiamarlo museo perché sminuirebbe il valore del luogo, alquanto prezioso e pesante dal punto di vista storico) taglia il fiato e smorza la voce come una presa stretta, ben assestata alla gola da mani possenti, le stesse che per anni contribuirono alla produzione di uno dei centri d’estrazione più importanti dell’economia belga. All cuore affiorano le prime emozioni, nella memoria, stranamente, emergono le prime immagini sfocate, scaturite da una ricostruzione vaga e onirica, che richiama quell’indimenticanile e tremendo 8 agosto 1957. Le antiche strutture minerarie, ora manutenute e tirate a lucido dal magistrale lavoro dei responsabili del sito, ora monumentale, paiono trasmettere la fatica, il sudore, il dolore degli operai allora impegnati nelle estrazioni del minerale, ma anche delle centinaia di famiglie che si riversarono ai cancelli della miniera, appena saputa la notizia del tragico incidente. Per noi studenti la visita procede con scambi di opinioni con gli amici: molti sono i commenti e le opinioni, a volte divergenti, che non impediscono, però, di far subentrare quel senso di consapevolezza di ciò che avvenne sessantadue anni fa. Infine la testimonianza, immortale e sincera, di un uomo dalla gote rossicce e dal sorriso caldo, emblema di bontà vera e spontanea: è il racconto di “Nonno” Urbano”., come lui adora farsi chiamare dalle amate nuove generazioni, che hanno il dovere morale di tramandare le sue sagge parole: “In base ai contratti tra l’allora capo provvisorio dello Stato italiano Alcide De Gasperi e il Primo Ministro belga Van Hacker, nel decennio 1946-1956 l’Italia doveva cedere al Belgio 50mila operai, tra i 18 anni e i 40, da impiegare nelle attività minerarie, dopodiché, trascorsi cinque anni in terra fiamminga, avrebbero potuto tornare in patria o intraprendere un’altra professione (in caso contrario, qualora non si fosse rispettato tale accordo quinquennale, scattava l’espulsione dal Belgio).
“Ho iniziato a lavorare in profondità appena diciottenne, per ben ventisette anni. Sono presente in questo posto ogni giorno, poiché questo mi tiene vivo e mi fa ricordare di aver duecentosessantadue fratelli – prosegue Urbano Ciacci con il volto rigato da lacrime di vera umanità, quelle di un uomo ormai avanti con gli anni, ma con il cuore tenero di un bambino – con loro ho condiviso il duro lavoro, ma anche discorsi, scherzi e moltissimi pasti; abitavamo in baracche, tutti vicini: eravamo una comunità. Questa è la storia della più grande immigrazione italiana del Dopoguerra.”
“Di coloro che arrivarono a Bois du Cazier, negli anni dell’attività estrattiva, tremila morirono nella miniera per colpa di frane e di crolli. Nel 1985 ho fondato l’Associazione degli ex minatori nel 1985, volendo fortemente la costruzione di questo museo: nel 2002 fu messa la prima pietra ma, fino al 2012, non vi era la certezza che questo luogo sarebbe rimasto in piedi; poi intervenne l’UNESCO ed ora è un luogo simbolo Patrimonio dell’Umanità-e con orgoglio Urbano continua_
Sono fiero, dunque, della mia vita, non cambierei nulla, sebbene abbia vissuto anni alquanto duri e difficili fisicamente e psicologicamente; non ho mai rinunciato ad un giorno lavorativo e per questo vi auguro di trovare la strada migliore per voi, con la quale possiate sentirvi soddisfatti e realizzati. Tenete a cuore queste parole”.
Sarà fatto Nonno Urbano.