TURBIGO – Si tratta di una realizzazione encomiabile, che vede la Conceria Stefania in primo piano, la quale ha realizzato – in quello che fu lo stabilimento Irge, ma condizionato e videosorvegliato – un Museo della Conceria a carattere nazionale. La scelta sposa il Distretto Conciario, un modello economico che aveva preso forza col ‘miracolo economico’, in un contesto geografico circoscritto (Turbigo, Castano, Robecchetto con Induno, Buscate) dove c’era acqua disponibile. Il processo produttivo, articolato in varie fasi con imprese coinvolte a diversi livelli, iniziava con la concia e finiva con la rifinizione delle pelli.
Per raccontarne la storia ci vorrebbe un libro, ma per poterla vedere basta visitare il museo di Via Dante, dove macchine secolari (bottali, machine è glacer, macchine per spaccare e smerigliare le pelli, ecc.) sono raccolte nell’ampio salone in cui un tempo si producevano i pigiami dell’Irge. Noi ci siamo andati il 12 luglio 2019, accompagnati dal Responsabile della Sicurezza dell’azienda, che ci ha mostrato le vecchie macchine da conceria, da loro cercate, manutenzionate, restaurate ed esposte, che documentano la storia di una attività industriale che ha permeato la storia di questo territorio. Un patrimonio museale, realizzato senza nessuna sovvenzione pubblica, regalato alla comunità, aperto alle scuole e alle scuole professionali…Un’iniziativa che merita il ‘tirar giù il cappello!’
LA CONCERIA ‘STEFANIA’. Francesco Ramponi aveva imparato il mestiere in una conceria del Pavese e, nel 1945, si era trasferito a Castano Primo (Via Magenta, 159), dove si era messo in proprio. Durante gli anni del ‘miracolo economico’, lo sviluppo industriale nel nostro territorio aveva trovato nella conceria la fabbrica per eccellenza, per cui fu facile andare avanti. Un contesto favorevole per tanti imprenditori, alcuni dei quali avevano impiantato i bottali nelle vecchie stalle, dove continuavano a girare di giorno e di notte. Un inizio artigianale, sacrifici, dedizione al lavoro, capacità personali sfruttate al massimo, doti valide per la nomina di Cavaliere all’Ordine del Merito della Repubblica.
Siamo negli Anni Settanta: Francesco ha tre figli (Angelo, Gian Mario, Dino) dalla moglie Stefanutti (da cui proviene il nome ‘Stefania’ dato alla conceria) e continua a lavorare pelli ovocaprine e vitelli, coltivando una sorta di sacralità verso la ‘sua’ fabbrica, le ‘sue’ macchine che lo hanno accompagnato nella vita di ogni giorno.
Ad un certo punto appare nella storia la figura del designer italiano Andrea Pfister, uno stilista che disegnava scarpe per principesse, artisti, scarpe per le grandi firme della moda (aveva un famoso negozio a Parigi nel ’68) realizzate con pelli dai colori vivaci. Prodotti di altissima qualità per la realizzazione dei quali ci volevano pelli di altrettanta qualità. E la conceria Stefania si attrezzò per realizzare pelli di pregio per calzature di lusso, entrando così nel mondo magico della moda e portando in alto il vessilo del Distretto conciario. L’azienda, che oggi dà lavoro a 200 dipendenti, oltre ad altri 300 nell’indotto, è gestita dai figli del fondatore, Angelo e Dino e dai rispettivi figli. Purtroppo, Gian Mario ha lasciato questo mondo nel 2017.
IL MUSEO ‘PRIVATO’ DELLA CONCERIA. Decidere di investire qui parte dei proventi guadagnati con il lavoro prodotto, è un caso rarissimo in questo territorio, che non ha mai dato segni di grande generosità, nonostante Turbigo si chiamasse ‘la valle dei milioni’ durante gli anni del miracolo economico. Alcuni turbighesi ‘ricchi’(quando si cominciò a pagare la depurazione delle acque) cercarono di delocalizzare, altri preferirono chiudere le concerie, comprare lussuosi appartamenti in riviera e passare così a miglior vita. La scelta della famiglia Ramponi è stata diametralmente opposta: lavoro ai locali, capitali in loco che arricchiscono il territorio, mantenimento di quel ‘made in Italy’ che tutti ci invidiano, nessuna delocalizzazione! Un bel esempio, che una concomitanza di cause ha fatto sì che Turbigo fosse privilegiato, anche perché è attivo in paese un ‘Ricevimento merci’ che dà lavoro a 30 persone. Non solo: oggi nel museo ‘privato’ ci sono 16.000 paia di scarpe della collezione Pfister, ma certamente, per la legge del tempo, il museo diventerà pubblico e Turbigo potrà vantare una realizzazione da far invidia a tutto l’Altomilanese.
FOTO Due ‘macchine per conceria’ (uno spruzzo e una per misurare le pelli) prodotte dalle officine Tomboni che si trovavano nell’area adiacente all’U2