La morte di un ‘collega’ del tempo che fu mi ha ricordato un impegno assunto quarant’anni fa e conservato nel mondo impalpabile della memoria. Allora, quattro tecnici (in seguito ne arrivarono altri due, tra cui uno di Castano Primo) erano stati inviati dall’Enel in Marocco (Mohammedia, vicino a Casablanca) per avviare una centrale termoelettrica costruita con macchinari italiani (Franco Tosi, Ansaldo, ecc.). Si trattò di un’esperienza umana forte – l’incontro con una diversa cultura – che promisi allora di raccontare, ma non ho mai avuto il tempo di farlo. Ora, a tarda età, lo sto facendo a puntate, sperando di avere la voglia di arrivare fino alla fine.
Dicevamo, alla fine della seconda puntata, che ognuno di noi quattro tecnici dell’Enel (eravamo tre sposati e un single) si era trovato una bonne per aiutare le rispettive mogli nei lavori di casa. La nostra era vecchia e sgraziata (cieca da un occhio!), ma quella di un collega era giovane e attraente…e, come avviene nelle migliori famiglie, nacque una relazione. La perdita della verginità della giovane ‘bonne’, portò i famigliari della ragazza a intimare al collega l’obbligo acclarato a sposarla. L’alternativa sarebbero state le galere reali. Ma non era semplice neanche impalmare la giovane marocchina! Per poterlo fare bisognava andare dal qadi (una sorta di notaio marocchino) e abbracciare la religione mussulmana. Non solo, ma la questione assumeva sempre più aspetti grotteschi per la famiglia che il collega aveva al seguito. La moglie – che aveva sopportato la situazione quand’era in fieri – decise di abbandonarlo ritornando in Italia con il figlio, anche perché non poteva vedere i suoi vestiti indossati dalla bonne, come se fosse una seconda moglie!
IL MATRIMONIO MAROCCHINO – Una volta abbracciata la religione mussulmana, dopo la benedizione del qadì, ottenuta dopo un rito avvenuto in moschea e, dopo aver versato duemila dollari alla famiglia marocchina (una sorta di buonuscita per la figlia!), era possibile sposarsi. Capitava che, nella montagna di lavoratori (italiani, portoghesi, spagnoli, ecc.) impiegati nella costruzione della centrale termoelettrica, qualcuno perdesse la testa per qualche bella marocchina e andava a sposarsi a Gibilterra. Era la città occidentale più vicina dove il contratto matrimoniale veniva riconosciuto anche in Italia. Le motivazioni femminili per un tale passo – si scoprì poi – non erano tanto l’amore, ma il fatto di ottenere il passaporto e andare a Parigi! (un po’ come succede oggi in Italia per i migranti).
L’unico collega ‘single’ – che faceva parte del gruppo – si era mosso con uno stile diverso. Per attenuare la fatica del lavoro e superare la solitudine che lo attanagliava nelle notti insonni, cercava giovani marocchine, se le portava a casa (che condivideva con altri) e, dopo averle fatte visitare ci faceva l’amore. Per qualche settimana e poi le scaricava con una mancia e ne cercava altre. Un comportamento normalissimo in quel contesto, che non dava adito ad alcun pettegolezzo nella comunità italiana.
Le altre due coppie convenzionali vivevano in simbiosi il tempo libero: fritti misti favolosi di aragoste, gambaretti, sogliole accompagnavano le serate nelle quali si parlava di tutto, anche dei vantaggi della ‘spirale’, ma la lontananza dalla madrepatria si sentiva. Telefonare in Italia costava moltissimo e l’unico modo per sentire le news era quello di sintonizzarsi sulle radio che però non trasmettevano in italiano. Chi scrive si dilettava, come ora, a scrivere lettere e a cercare di accaparrarsi qualche ‘Corriere’ del giorno dopo (stampato su carta più leggera) al ‘Meridien’, l’unico hotel a cinque stelle di Mohammedia. Intanto, i figli si erano iscritti alla scuola italiana di Casablanca e arrivò il primo giorno di scuola alla prima elementare, che iniziò con un fiorellino sulla prima pagina del quaderno.
FOTO Capodanno a Mohammedia Maroc (1980). Sulla parete è affisso un ‘albero di carta’, accanto al quale si era festeggiato attaccandovi i biglietti di auguri ricevuti