written by Avv. Davide Pistone
Separazione dei coniugi. Il padre professa la religione cristiano cattolica; la madre, testimone di Geova. E così in Tribunale sorge una forte querelle inerente l’educazione religiosa del figlio minore di soli 9 anni, G.M., innesto poi di una vertenza che si trascinerà fino alla Suprema Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. I, 30.08.2019, n. 21916).
Il Tribunale di Como, in primo grado, aveva prediletto la religione paterna, ossia il cattolicesimo, in virtù principalmente di un raffronto tra le due diverse confessioni religiose mirato ad individuare, tra le due, la più idonea a rispecchiare quel principio di “maggiore interesse per i figli” tanto ambito ed esatto dall’art. 337 ter c.c.. Si legge, difatti, in sentenza, di come la religione cattolica a parer del Giudicante rappresenti l’opzione “maggiormente rispondente all’interesse del piccolo, consentendogli più agevolmente la integrazione nel tessuto sociale e culturale del contesto di appartenenza, il quale, benché notoriamente secolarizzato, resta pur sempre di matrice cattolica”; mentre, al contrario – nel pensier del Magistrato – della confessione giovista “non può sottacersi la natura settaria, chiusa in se stessa e ostile al confronto con qualsivoglia altro interlocutore”. Sicché, in conclusione, per decisione assunta dal Tribunale comasco: “la madre dovrà responsabilmente astenersi, onde non destabilizzare il bambino, dall’impartire ulteriori insegnamenti della dottrina geovista e dal condurlo alle relative cerimonie”.
La Sig.ra E.L. proponeva appello d’innanzi alla Corte di Appello di Milano, la quale rigettava il gravame e confermava la decisione del Giudice di prime cure. La pronuncia della Corte territoriale, tuttavia, traeva ispirazione da basi giuridiche, una ratio e spunti fattuali ben diversi rispetto a quelli del Tribunale, ossia (non tanto su un giudizio astratto inerente i singoli precetti religiosi e/o lo status quo della professione di culto nel tessuto sociale, quanto piuttosto) sulla circostanza di fatto, concreta, che nel caso di specie il minore “G.M. sia stato battezzato secondo il rito cattolico e che la scelta comune dei genitori, sino all’adesione della madre alla dottrina geovista, sia stata quella di inserire il figlio nella comunità della Chiesa Cattolica”. Per cui – si legge a chiosa nel corpo del provvedimento – l’insegnamento della dottrina dei Testimoni di Geova potrà essere inibito dal sistema Giustizia “al fine di non creare confusione nel minore, proponendogli contemporaneamente due insegnamenti differenti, con il rischio di disorientarlo, e al contempo per non appesantirlo eccessivamente sotto il profilo della formazione religiosa”.
Su ricorso della mamma si è così giunti d’innanzi alla Suprema Corte di Cassazione, ove veniva osservata una violazione o falsa applicazione di norme di diritto e, quindi, cassata con rinvio la decisione della Corte d’Appello meneghina. Alla base della decisione della Corte nomofilattica un inquadramento costituzionalmente orientato del precetto civilistico coinvolto. La Corte, infatti, in sede di giudizio ha rilevato che se l’interesse primario è quello del minore, ancor prima di operare una scelta di contenuto si rende allora necessario carpire se vi sia o meno un effettivo pregiudizio per lo stesso, poiché solo ed esclusivamente in tal caso sarà possibile disporre un qualsiasi provvedimento di carattere inibitorio e/o restrittivo.
Tale intervento, tuttavia – precisano i Giudici di piazza Cavour – esige sempre una valutazione circostanziata e concreta, e richiede quindi un approfondimento probatorio fondato, quantomeno, sull’ascolto del minore, ovvero anche sull’esperimento di una consulenza psicologica sullo stesso, o sull’acquisizione di una relazione da parte dei servizi sociali del Comune di competenza. Non certo, invece, “sulla base di una astratta valutazione delle religioni cui aderiscono i genitori”, né tantomeno “sulla considerazione della adesione successiva di uno dei due genitori a una religione diversa rispetto a quella che era precedentemente seguita e praticata da entrambi”, anche perché in effetti – spiega la Corte – una siffatta interpretazione rimarrebbe insensibile, da un lato, ad ogni “scelta di vita in divenire del genitore”, e, dall’altro, alla “piena libertà di mutare le proprie credenze”, che in fondo è e rimane parte integrante del principio della libertà di culto.
Solo a queste circostanze, quindi, l’Organo Giudicante potrà interferire nell’educazione religiosa del minore con disposizioni di carattere inibitorio o restrittivo. Diversamente, tale aspetto dovrà essere lasciato alla direzione familiare.
Nel caso di specie, pertanto, avendo denotato la Corte come non sia stato adottato alcun provvedimento volto ad una istruzione probatoria in tal senso, la stessa ha disposto la cassazione della sentenza con rinvio del giudizio al Giudice di seconde cure. E così alla domanda prestata a titolo del presente commento (in caso di separazione il figlio è tenuto a seguire la religione di quale genitore?), la risposta non potrà che essere: entrambe, quantomeno fino a che la loro contrapposizione non degeneri in tangibili, serie e comprovate ripercussioni sull’equilibrio educativo del minore. Dopodiché, sì, il Giudice deciderà per loro sulla base dei rilievi mossi nel caso di specie dai giudici di primo e secondo grado.
Avv. Davide Pistone