Riassunto delle puntate precedenti’: LA MOTIVAZIONE a scrivere la storia di un’avventura professionale è stata la morte dei colleghi del tempo che fu, che hanno partecipato alla missione in Marocco dell’Enel (1975-1985); l’impegno preso a raccontarla e le quattro puntate precedenti che hanno dato motivo di riflessione alla signora Roberta di dirci, attraverso internet, che c’era anche Lei a Mohammedia e, forse, ci siamo anche visti quarant’anni fa!
IL VIAGGIO da Ceuta a Mohammedia, circa 500 Km: ”Pieno di fiori, di verde, di sole. Il cielo, sempre azzurro, sembra più grande. Da Ceuta a Teuton, a Larache si vede la gente che emerge dai boschi, altri riposano sotto le piante con vestimenti lunghi. Bambini che portano fasci di felci, arbusti per accedere il fuoco. Le case sono piccole, probabilmente per non fare filtrare la luce e il calore del sole. Sulle strade bianche donne e bambini offrono i prodotti dei campi: vengono incontro con cestini pieni di fichi come si faceva un secolo fa in Italia. I fichi e il miele – nella storia – hanno sempre rappresentato un alimento molto diffuso sia tra i poveri, sia tra i ricchi. I fichi fritti, al forno, avvolti nella stessa foglia di fico”.
IL C ANTIERE. La Progettazione della centrale era stata fatta dal GIE, mentre del montaggio era responsabile la SICOM, una società controllata dal GIE (Gruppo Impianti Elettromeccanici, la cui maggioranza azionaria era Ansaldo-Tosi). 150 italiani con 1200 marocchini erano impegnati nella costruzione della centrale termoelettrica di Mohammedia: 4 gruppi da 150 megawatt. I marocchini guadagnavano 400-500 lire all’ora, vivevano in bidonville costruite all’esterno del cantiere (come i migranti d’oggidì) con le assi recuperate dalle casse di imballaggio dei macchinari che arrivavano in centrale. A mezzogiorno arrivava una signora con un carretto e serviva un piatto di minestra, fichi d’india, qualche pesce. Mangiavano in mezzo a nuvoloni di polvere che si alzavano da tutte le parti: una polvere finissima che si infiltrava dappertutto. Dopo mangiato si sdraiavano sulla terra nuda al sole con in testa dei berretti di lana e si lasciavano arrostire fino all’inizio dell’orario di lavoro. Sembravano volessero assumere energia dal sole…
L’OCCUPAZIONE DEL CANTIERE al quale si arrivò fu gestito malamente dal pacha che raccolse gli sputi dei lavoratori, due dei quali furono addirittura ammazzati a bastonate. I responsabili delle ditte italiane assunsero altri marocchini a giornata per continuare i lavori e solamente dopo 12 giorni di sciopero la situazione si calmò, con un grande impiego di polizia, la quale che riuscì a liberare a bastonate il cantiere dall’occupazione. Poliziotti che erano stati impiegati nei gironi precedenti a Casablanca per la visita della Regina Elisabetta. Nei dodici giorni di lotta non mancarono sassate nei confronti delle auto degli italiani e picchetti di protezione furono attivati nei confronti delle abitazioni delle famiglie degli italiani più esposti (capicantiere).
NELL’OTTOBRE 1980, pieno di sole, con la gente che alla sera andava a bagnarsi nel mare, riprese in pieno la vita del cantiere. Abbiamo già raccontato il fatto che uno di noi si era innamorato di una marocchina che dormiva nello stesso letto con la moglie. Poi le noiose serate del sabato, passate al ‘Meridien’, un grande hotel a cinque stellette, dove trovavamo difficoltà persino ad ordinare una bibita. Ricordo che, una sera, un cameriere marocchino ci portò lo Schweppes ordinato (non c’era altro, neanche la Coca Cola!) e alle nostre domande rispose dicendo che conosceva solo un “pochito di spagnolo”, ma che adesso avrebbe imparato l’italiano perché il fratello lavorava da quattro anni in Italia. Alla nostra domanda su cosa facesse ci rispose serio: “Nella Mafia!, con un accento come se si trattasse della Fiat!”.