Guido Boggiani (Omegna, 25 settembre 1861 – dipartimento del Chaco, 1902) fu un grande pittore, fotografo ed etnografo. Era figlio di Giuseppe Boggiani e di Clelia Genè, a sua volta figlia dell’illustre zoologo turbighese Giuseppe Gené. Lo scrive il nostro Angelo Paratico qui sotto, oggi editore e scrittore
TURBIGO – Giuseppe Gené nacque a Turbigo il 9 dicembre 1780 e morì a Torino il 14 luglio 1847. Per maggiori dati storici su di lui, rimandiamo i lettori alle ricerche dello storico turbighese Giuseppe Leoni. I figli di Giuseppe Gené ebbero carriere illustri. Uno fu il generale Carlo Gené, che comandò i militari italiani che occuparono Massaua e Assab, in Africa. Il colonnello dei bersaglieri Enrico Gené, figlio di Carlo, fu decorato per il coraggio dimostrato nell’assalto a Porta Pia. Un suo nipote sarà la medaglia d’oro, Carlo Fecia di Cossato (1908-1944) un celebre comandante di sommergibili.
Guido Boggiani sin da piccolo mostrò un forte talento artistico per cui, non appena terminò gli studi liceali, i genitori l’iscrissero all’Accademia di Brera, dove rimase un paio d’anni. Lasciò l’Accademia per proseguire gli studi con il pittore milanese Filippo Carcano (1840-1914) ed ebbe subito denaro e successo, ma che non gli diede affatto alla testa. Nel 1881, presentò tre quadri e fu salutato come una promessa nel campo dell’arte. Il 1883 fu l’anno della rivelazione. Il re Umberto I aveva inaugurato la nuova sede del Palazzo delle Esposizioni, costruito appositamente per ospitare opere d’arte, e Boggiani vi fu premiato, per il quadro “La raccolta delle castagne” che fu acquistato dalla Galleria Nazionale di Arte Moderna, per l’allora elevatissima somma di seimila lire, e fu recensito favorevolmente sul Fanfulla da un giovanissimo Gabriele D’Annunzio. Nello stesso anno, il 1883, Boggiani espose quattro quadri all’Accademia di Brera ed ottenne l’ambito «Premio Principe Umberto» con ”Ombra dei castagni”. Gli giunsero altri premi dall’Italia e dall’estero. Decise di restare a Roma, e nel 1884 aprì uno studio in via San Nicolò da Tolentino. Strinse amicizia con il musicista Paolo Tosti, Gabriele D’Annunzio e lo scrittore e giornalista napoletano Eduardo Scarfoglio. Con essi s’inserì nei circoli culturali della città e fece parte, in via dei Due Macelli, del cenacolo della «Cronaca Bizantina» di Angelo Sommaruga, la più celebre rivista del Periodo Umbertino.
Avrebbe potuto godersi in pace una ricca carriera artistica e invece partì per il Sud America. Nel 1887, a 26 anni, Boggiani intraprese un viaggio in Argentina per mostrare i suoi dipinti a Buenos Aires. v’incontrò degli italiani che vivevano in Paraguay, e attraverso i commenti da loro fatti, specialmente sulle aree del Chaco e dei popoli indigeni, ebbe inizio la sua passione per il Paraguay. Nel 1887 viaggiò attraverso l’interno del Brasile, della Bolivia e del Paraguay per documentare la vita degli indigeni nella regione. Nel 1888 Boggiani arrivò ad Asunción e iniziò la sua prima spedizione nel Gran Chaco.
Grazie agli sforzi di Don Juan De Cominges, raggiunse Puerto Casado. Qui ebbe il primo contatto con gli indiani Chamacoco. Ritornò in Italia nel 1893, portando una collezione di 800 manufatti di grande valore antropologico, che oggi si trovano presso il Museo Pigorini di Roma e iniziò a scrivere libri basati sulle sue esperienze. Nel 1896 tornò ad Asunción, equipaggiato con una macchina fotografica, un treppiede e tutti gli elementi per lo sviluppo delle lastre. Era convinto che la fotografia fosse l’unico modo per studiare queste persone che vivono nelle loro piccole capanne. Alla fine, oltre ai suoi numerosi libri, le sue fotografie (ne furono realizzate più di 500 dal 1896 al 1901) e i soggetti della sua arte suscitarono l’interesse e l’ammirazione di un pubblico più vasto. Parte della sua collezione è stata successivamente acquisita dal Museo Etnologico di Berlino.
Boggiani fu visto per l’ultima volta ad Asunción il 24 ottobre 1901, insieme al suo assistente Félix Gavilan, mentre lasciavano la città per il Gran Chaco. Nell’ottobre del 1902 scrisse per l’ultima volta al fratello, descrivendo i dettagli della spedizione. Poi sparì nel nulla.
Fu solo nel 1904 che la comunità italiana di Asunción organizzò una spedizione, guidata dall’esploratore spagnolo José Fernandez Cancio, e il 20 ottobre 1904 trovarono i resti di Boggiani e il suo cranio fracassato. Si suppone che i Chamacoco abbiano spaccato la sua testa con una mazza per impedirgli di fraternizzare con una tribù loro nemica; nel 1902 la rivista American Anthropologist riferì che era stato ucciso “presumibilmente per mano degli indiani Tobas.”La sua macchina fotografica fu trovata sepolta, e si presume che anche molti negativi furono anch’essi sepolti. I resti di Boggiani sono oggi in una tomba nel cimitero italiano di Asunción.
Una buona parte del suo lavoro, scritti, disegni finissimi e lastre fotografiche poté essere salvato grazie all’esploratore e botanico ceco Alberto Vojtěch Friè (1882 – 1944), che pochi anni dopo si recò in Paraguay e fu in grado di recuperare tutti i suoi averi, grazie ai buoni rapporti con gli indigeni. Suo nipote, Pavel Friè, è in seguito riuscito a sviluppare tutte le lastre fotografiche, e la collezione è stata riprodotta in “Guido Boggiani, Photographer” (1997).
Una strada di Asunción, in Paraguay porta il suo nome e vari discendenti degli indigeni che aveva studiato portano il cognome Boggiani, come segno di rispetto per lui.