‘Riassunto delle puntate precedenti’: La morte dei colleghi, dipendenti della centrale termoelettrica di Turbigo, che avevano partecipato alla missione in Marocco dell’Enel (1975-1985), l’impegno preso a raccontarla, iniziata con le cinque puntate precedenti, e continuata con quella che siamo intenti a scrivere, oggi 26 gennaio 2020.
Ottobre 1982. In questo mese la gente andava ancora a fare il bagno in mare nonostante la corrente del Golfo che a Mohammedia si sentiva. Era diverso il nostro caso da quello della signora Roberta che ci ha scritto attraverso internet. Lei era rimasta quindici anni per il porto, mentre la nostra permanenza era limitata all’addestramento del personale marocchino (che in parte era già avvenuto in Italia) e al primo avviamento della centrale termoelettrica che, come abbiamo raccontato nelle precedenti puntare era già iniziato. Proprio in vista del primo avviamento era arrivato il dottor K. Nato in Lituania conosceva cinque lingue. Era un pensionato di 62 anni che ci aveva raccontato volentieri la sua vita avventurosa. I suoi erano proprietari di una fabbrica a Riga prima della Rivoluzione e quando, nel 1939, la Lituania divenne una delle Repubbliche sovietiche furono espropriati di tutto. Si rifugiarono in Italia grazie al visto turistico rilasciato dall’ambasciata italiana. Avrebbe dovuto curare la formazione del personale marocchino e coordinare l’attività di avviamento. Nello stanzino in cui di trovavamo spesso in quattro cercavamo sempre di lasciargli libera una sedia, anche perché avevamo visto subito il suo disagio. Difatti il modo in cui venne trattato ha straziato prima la moglie e poi lui e, dopo circa un mese, prese armi e bagagli e ritornò nel bel Paese.
IL CORSO DI FORMAZIONE ci portò ad avere contati de visu con alcuni vecchi montatori delle ditte costruttrici, come la Franco Tosi e inevitabilmente si parlava della vita trascorsa in Italia, ma anche in Marocco.
MUSA. Supervisore montaggio del condensatore. Si era innamorato di una giovane marocchina dalla quale aveva avuto una figlia. Era un vecchio montatore arrivato al punto di regalare un’auto alla sua amante (che si era fatto invaiare dall’Italia in nave), ma la donna – una volta conquistato il passaporto con il matrimonio marocchino – l’aveva lasciato con la figlia da accudire. La bambina era miope e aveva bisogno di cure, ma l’ufficio amministrativo non gli aveva riconosciuto la paternità e quindi doveva pagare tutto di tasca propria. Per ricattare l’azienda e farsi pagare le spese presentò una lettera di dimissioni dicendo che se ciò non fosse avvenuto se ne sarebbe andato. Pensava che lo avrebbero pregato di restare (pagando le spese per la bambina) perché la ua professionalità, invece ciò non avvenne e dovette rientrare in Italia con la bambina.
COLO. Specialista del ciclo termico. Da vent’anni lavorava all’estero per Tosi. Aveva tre figli e in Italia non riusciva a mantenerli secondo i dettami della televisione. Era stato a Bandar Abbas, dove la temperatura era di 50°C da marzo a ottobre. Si viveva esclusivamente in casa dove ogni stanza aveva un condizionatore. Gli iraniani di notte, non potendolo avere, dormivano in terrazza, all’aperto. Popolo orgoglioso – diceva degli iraniani – che non avevano mai avuto una dominazione straniera, erano pagati molto bene, dieci volte di più dei marocchini impegnati a costruire la centrale. A Bandar Abbas si poteva andare al mare solo dalle 8.30 alle 11 perché poi l’acqua si riscaldava fino a 40°C. Si guadagnava molto bene e nonostante la guerra Iran-Irak nessuno intendeva ritornava a casa, però i montaggi andavano a rilento a tutto vantaggio degli espatriati il cui unico obiettivo era quello di guadagnare.
All’interno della cosiddetta ‘Direzione Lavori’ orbitavano una serie di personaggi dei quali tratteggiamo qualche figura:
PITTA. Anziano imprenditore torinese, era arrivato in Marocco per installare una fabbrica di vernici. Imballata la fabbrica in sette containers era arrivato a Safi, ma il socio marocchino morì e tutto divenne difficile. Dopo tre anni non era ancora riuscito a sbloccare la situazione e aveva chiesto di lavorare per guadagnare e continuare la sua battaglia. Era un ragioniere che aveva fatto sei anni in guerra con gli alpini ed era stato incaricato di contabilizzare le economie di cantiere. Lavoro lungo e noioso angustiato da una bronchite che si trascinava da sempre. Ma l’uomo era un Signore, capi del vestiario di prima scelta, tratto gentile e al mattino, dopo il caffè, si parlava di Nostradamus, dei Re Magi, dell’Italia. Diceva: “In Italia c’è sovrabbondanza di tutto, ci sono centinaia di imprese che fanno lo stesso articolo, c’è una concorrenza notevole e si pagano un mare di tasse…” Ragion per cui decise di partire per l’Africa con moglie e il personale migliore e finisce per sprofondare in una melma burocratica dalla quale non riesce più a togliere la testa. Con più di sessant’anni sulle spalle e la morte che gli girava attorno e che gli aveva toccato il fratello, con il quale aveva diviso i favori e gli sfavori della vita, il vecchio cavallo di razza era sfiancato. Ma non domo, nonostante il figlio a Torino gli vendeva i quadri per mantenere un certo tenore di vita, continuava a battagliare con i suoi fantasmi marocchini, inframmezzando le sue vicende africane con le azioni che fece nella battaglia di Cassino alla quale partecipò, precisando il modo di caricare il basto dei muli, sull’importanza che ebbero durante la guerra… Ma poi appesantiva la visione del soldato e il vecchio tenente degli alpini ci raccontò la notte in cui gli erano diventati bianchi i capelli….
FOTO le concerie marocchine del tempo