Angelo Paratico: Nei “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, dal capitolo XXXII al XXXVI incontriamo i Monatti. Il loro nome mette brividi nella schiena di chi conosce il capolavoro di Manzoni. Nella Milano consumata dalla peste e dalla paura, erano loro i signori incontrastati della città. Non esistendo cure al morbo, ricoprivano le funzioni dei moderni conduttori di ambulanze, pur usando metodi assai più spicci e con fini spesso criminali. Erano uomini che erano stati contagiati dalla peste e non ne erano morti, come del resto Renzo e Lucia, dunque possedevano gli anticorpi necessari. Portavano i morti alle fosse di sepoltura e portavano i vivi al lazzaretto, per evitare che diffondessero il contagio.
Renzo li incontra in giro per Milano: “Arrivato al crocicchio, vide da una parte una moltitudine confusa che s’avanzava, e si fermò lì, per lasciarla passare. Erano ammalati che venivan condotti al lazzeretto; alcuni, spinti a forza, resistevano in vano, in vano gridavano che volevan morire sul loro letto, e rispondevano con inutili imprecazioni alle bestemmie e ai comandi de’ monatti che li guidavano; altri camminavano in silenzio, senza mostrar dolore, né alcun altro sentimento, come insensati; donne co’ bambini in collo; fanciulli spaventati dalle grida, da quegli ordini, da quella compagnia, più che dal pensiero confuso della morte, i quali ad alte strida imploravano la madre e le sue braccia fidate, e la casa loro.” (Cap. XXXIV).
La peste nera o bubbonica arrivò in Europa dalle steppe dell’Asia centrale nel 1347. Il paziente zero, verosimilmente, viaggiò su una nave genovese, in arrivo dalla Crimea. Fece tappa in Sicilia e da lì il morbo risalì la Penisola correndo sulle gambe di tutti coloro che cercavano di sfuggirla. Uccise circa il sessanta per cento della popolazione europea nel giro di due anni, provocando una vera e propria catastrofe sociale ed economica, nel cui riverbero viviamo ancora. Restò endemica in Europa, ripresentandosi ogni trent’anni circa, anche se con livelli di mortalità leggermente inferiori. La peste è di origine batterica, non virale e viene causata dal morso di pulci nelle quali il battere impedisce di inghiottire il sangue che succhiano dagli animali, che viene così vomitato invece che digerito, mentre tentano altre punture. La moria di topi, che sono le loro vittime preferite, le spinge a nutrirsi di esseri umani. Il batterio della peste fu isolato nel 1894, a Hong Kong da un biologo francese di origine russa.
Ai tempi del Manzoni non si aveva ancora una chiara idea di cosa la provocasse, anche se il suo giovane medico personale, Enrico Acerbi (1785-1827) nativo di Castano Primo, in provincia di Milano, aveva brillantemente intuito la causa. Prima di Robert Koch, l’Acerbi capì che ci dovevano essere dei microrganismi, invisibili a occhio nudo, che causano questa malattia, come pure il tifo e altre epidemie. Enrico Acerbi ebbe l’onore di una delle poche note presenti nei “Promessi Sposi”, dove viene definito dall’autore “diligente quanto ingegnoso.” Ecco la nota: Del morbo petecchiale… e degli altri contagi in generale, opera del dott. F. Enrico Acerbi, Cap. III, § 1 e 2. (Cap. XXVII).
Da dove sia derivato il nome di Monatti non è chiaro. Il Manzoni scrive: “Il nome, vuole il Ripamonti che venga dal greco monos; Gaspare Bugatti (in una descrizione della peste antecedente), dal latino monere; ma insieme dubita, con più ragione, che sia parola tedesca, per esser quegli uomini arrolati la più parte nella Svizzera e ne’ Grigioni. Né sarebbe infatti assurdo il crederlo una troncatura del vocabolo monathlich (mensuale); giacché, nell’incertezza di quanto potesse durare il bisogno, è probabile che gli accordi non fossero che di mese in mese” (Cap.XXXII).
Giravano con una campanella attaccata alla gamba, per avvisare chi era sano di ritirarsi. Erano intoccabili e dunque potevano sfondare le porte per entrare a portar via gli infettati e i morti, oppure rubare quel che vi stava dentro. Se avessero trovato un cadavere in putrefazione, avrebbero chiesto soldi ai parenti per portarlo via. Si notato i loro modi spicci dal trattamento che riserbano a don Rodrigo, che due giorni prima aveva partecipato al funerale del conte Attilio e vi aveva fatto bisboccia. Tornato a casa, il Griso, uno dei suoi bravi, si rende conto che non sta bene. Don Rodrigo lo manda a chiamare un medico ma il Griso chiamò i Monatti perché se lo portassero via. Questi gli si buttarono addosso e gli strappano la pistola. Poi il Griso spartì l’oro del suo padrone con loro (Cap. XXXIII).
I Monatti sono i protagonisti di una delle scene più strazianti del romanzo. L’episodio di Cecilia, definita “…una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo.” Cecilia carica sul loro carro il cadavere della sua bambina di nove anni, già morta, che aveva ben pettinata e vestita con un abitino bianco. Paga il monatto e gli chiede, con grande dignità, di seppellirgliela così, senza toccarla. Poi dice loro di tornare di sera a prendere anche lei e la sua figlia più piccola, già moribonda (Cap.XXXIV).
Un’altra scena che li vede protagonisti è il loro salvataggio di Renzo, scambiato per un untore. I milanesi vorrebbero linciarlo, ma lui si salva, saltando su un carro di cadaveri condotto dai Monatti, che lo proteggono. Li ringrazia e uno di loro gli dice: “Di che cosa? – disse il monatto: – tu lo meriti: si vede che sei un bravo giovine. Fai bene a ungere questa canaglia: ungili, estirpali costoro, che non vaglion qualcosa, se non quando son morti; che, per ricompensa della vita che facciamo, ci maledicono, e vanno dicendo che, finita la morìa, ci voglion fare impiccar tutti. Hanno a finir prima loro che la morìa, e i monatti hanno a restar soli, a cantar vittoria, e a sguazzar per Milano.” Giunti a una successiva fermata, Renzo saltò giù dal carro, ringraziando di nuovo i suoi salvatori: “Va’, va’, povero untorello, – rispose colui: – non sarai tu quello che spianti Milano.”
E qui anche i Monatti escono di scena. Non esistono tracce di processi nei loro confronti, una volta che la peste smise di infierire, in città e nel contado.
Angelo Paratico