L’unica impresa italiana a non aver accusato il colpo a causa del Coronavirus è quella mafiosa. Come hanno ampiamente dimostrato le crisi economiche degli anni passati, infatti, quelli che per la maggior parte degli imprenditori—specialmente medio-piccoli—equivalgono a momenti di difficoltà, rappresentano in realtà un trampolino di lancio per le attività illecite dei boss. Perché dopo la crisi arriva la ricostruzione, arrivano i capitali e, si sa, le maglie dei controlli diventano più lasche.
Uno scenario che l’Italia potrebbe trovarsi ad affrontare già nei prossimi mesi, quando comincerà il business della ripartenza del tessuto economico del Paese, gravemente danneggiato dall’emergenza Covid-19. È questo l’allarme lanciato da magistrati, investigatori e associazioni come la Carovana Antimafia dell’Ovest Milano, che da sempre combattono in prima linea contro la diffusione di un virus altrettanto potente: la ‘ndrangheta.
Infiltrazione, quella della mafia calabrese, che nel nostro territorio è ben presto diventata colonizzazione, fino a dar vita—prendendo in prestito il termine utilizzato da Nando dalla Chiesa e Federica Cabras nel loro ultimo libro, “Rosso mafia”—a una «civilizzazione» del Nord Italia. Vale a dire la fetta di territorio maggiormente colpita dall’emergenza sanitaria e che avrà dunque più bisogno di aiuto (economico) per rialzarsi.
Perché il Coronavirus porta con sé anche un terremoto economico-finanziario non indifferente, che si traduce in «tempeste fuori controllo sui mercati; spread con massimi storici; turismo, spettacolo, sport e cultura bloccati; (…) fatturati al minimo; cassa integrazione (…); debito pubblico faraonico; Pil in caduta verticale» e molto altro ancora, come sottolineato dall’ex procuratore antimafia Gian Carlo Caselli in un fondo pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 24 marzo.
Ma dove risiede la forza dei clan nei momenti di crisi? Sicuramente in una «vera e propria “economia parallela” con guadagni giganteschi e andamento sempre in crescita—ricorda Caselli—che le mafie hanno da tempo costruito. Una economia illegale che pian piano è riuscita a risucchiare nel suo gorgo commerci, imprese e forze economiche sane, frenate spesso dal fatto che osservare le regole non è come impiegare sistematicamente forme di persuasione, corruzione o minaccia, invisibili o violente a seconda dei casi».
Invisibili come l’usura: le ‘ndrine possono infatti offrire alle aziende e agli imprenditori, che non trovano risposte celeri nei canali istituzionali, il denaro necessario per ripartire. Il problema è che si tratta di denaro sporco—di sangue e di cocaina—da «ripulire» e reinvestire nell’economia legale. Denaro i cui tassi d’interesse crescono a dismisura, fino a impedire agli imprenditori di saldare i debiti, perdendo così il controllo delle proprie aziende. Nel 2010 successe alla “Perego Strade”, colosso lombardo dell’edilizia, spolpato dalla ‘ndrangheta. E, statene certi, questo succederà ancora.
Poi ci sono le «forme di persuasione violente» di cui parla Caselli. È notizia di ieri, 1 aprile, che a Foggia sia stata fatta saltare in aria la struttura per anziani “Il Sorriso”. Le telecamere di sicurezza hanno ripreso un uomo in bicicletta—rigorosamente munito di mascherina—piazzare un ordigno davanti alla saracinesca della struttura. È il secondo attentato in due mesi, ma neanche divieti e sanzioni hanno potuto impedire l’intimidazione.
Insomma, bisogna mantenere alta la guardia. Perché anche se non si può uscire di casa il mondo degli affari continua a girare; anche in modalità «smart working», ossia da remoto. Prendiamo ad esempio i 537 chili di droga intercettati la scorsa settimana dalla Squadra Mobile a Gioia Tauro e destinati alle piazze di spaccio di Milano.
Mezza tonnellata di cocaina, divisa in due parti, nascosta in un capannone e sotterrata in un agrumeto di proprietà del 25enne Rocco Molè, figlio del boss ergastolano «Mommo» (attualmente recluso nel carcere milanese di Opera) e rampollo dell’omonimo clan della Piana. 537 panetti che, se non fossero stati sequestrati dalla polizia, avrebbero fruttato almeno cento milioni di euro.
Denaro fresco nelle casse del clan, da utilizzare come «mancia» per mettere le mani sulle attività di imprenditori in crisi desiderosi di ripartire. «Il Coronavirus apre così nuove opportunità alle mafie e uno scenario già di per sé cupo potrebbe persino tracimare in catastrofe», aggiunge l’ex magistrato su Il Fatto. Ma non tutto è perduto: adesso occorre giocare d’anticipo, perché «sarebbe una iattura—evidenzia Caselli—dare anche solo l’impressione di non combattere (o di non metterci sufficiente energia) una battaglia che per quanto difficile si può sostenere e vincere».
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