SCRIVE ANGELO PARATICO: Quest’anno cade il quarantesimo anniversario della morte di Andrej Amalrik (1938-1980), un dissidente sovietico, uno storico e un visionario russo. Egli raggiunse fama mondiale nel 1970, in seguito alla pubblicazione di un agile trattato di 70 pagine, intitolato: “Sopravviverà l’Unione Sovietica sino al 1984?” uscito con la Alexander Herzen Foundation di Amsterdam. Quel fatidico 1984 che appare nel titolo lo prese dal capolavoro di George Orwell. In realtà egli previde il crollo del colosso russo dal 1980 al 1985, mentre questo accadde nel 1991.
Amalrik, alludendo all’Unione Sovietica, scrisse: “Uno Stato costretto a dedicare così tante delle sue energie al controllo fisico e psicologico di milioni di propri soggetti, non potrà sopravvivere a tempo indeterminato”. Paragonò tale Stato a un soldato che punta un fucile contro a un nemico per un tempo molto lungo: e alla fine le sue braccia, sotto al peso del fucile, si stancheranno e il nemico potrà scappare. Poi aggiunse questo: “L’isolamento non solo ha separato il regime dalla società, e tutti i settori della società l’uno dall’altro, ma ha anche condannato il Paese a un estremo isolamento dal resto del mondo. Questo isolamento ha creato per tutti – dall’élite burocratica ai livelli sociali più bassi – un’immagine quasi surreale del mondo e del loro posto in esso. Eppure, più a lungo questo stato di cose contribuisce a perpetuare lo status quo, più rapido e decisivo sarà il suo crollo, quando il confronto con la realtà diventerà inevitabile”. La previsione di Amalrik circa la causa principale della disgregazione dell’impero sovietico fu una disastrosa guerra contro la Cina – ci andarono vicini, ma la evitarono – e poi gli antagonismi etnici all’interno dell’unione. Non riuscì a tenere sufficientemente conto dell’economia e delle spese insostenibili che si verificarono durante la corsa agli armamenti contro agli Stati Uniti d’America, un fattore che alla fine si rivelò essere il vero killer del gigante sovietico.
All’inizio il libro di Amalrik fu scambiato per un racconto distopico, proprio come quello di George Orwell, e non fu visto come una seria analisi politica da parte di un intellettuale che conosceva dal di dentro il sistema. Divenne popolare fra i lettori comuni, come una sorta di intelligente bizzarria, ma fu respinto dagli accademici e persino dagli esperti americani che lavoravano per la CIA.
Da studente era stato espulso dall’università di Mosca l’anno prima della laurea, perché aveva scritto un saggio nel quale sosteneva che i vichinghi, non gli slavi, nel nono secolo ebbero il principale ruolo nello sviluppo dello Stato russo. Gli chiesero di ritrattare ma lui rifiutò. Nel 1970 Amalrik fu arrestato per “diffamazione dello Stato sovietico” e condannato a tre anni in un campo di lavoro a Kolyma. Alla fine del suo mandato, ricevette altri tre anni, ma a causa delle sue cattive condizioni di salute e delle proteste che scoppiarono in Occidente, la sentenza fu commutata dopo un anno. Espulso dall’Unione Sovietica, morì in Spagna, in un incidente d’auto.
Angelo Paratico