Una frode postale s’erge a casus belli di una vertenza che ha consentito alle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione di redarguire dalla pratica, generalmente diffusa e invalsa soprattutto nel mondo bancario e assicurativo, di spedire assegni bancari (pur protetti da clausola di intrasferibilità) attraverso il sistema di posta ordinaria (Cass. civ., SS. UU., Sent. 26.05.2020, n. 9769).
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La questione al vaglio della Magistratura per certi versi è tecnica. Pertanto in questa sede urge prestarsi a una radicale semplificazione, pur premettendolo al lettore.
Come anticipato in sommario, la dinamica trae origine da una truffa: soggetti non identificati intercettano un assegno bancario fornito di una clausola di intrasferibilità, se ne impossessano, e alterando i propri documenti identificativi ne ottengono l’incasso presso l’istituto bancario. Dinamica relativamente semplice, questa, che fino a poco fa (almeno secondo l’orientamento predominante della Corte di Cassazione) avrebbe comportato l’esclusiva e assorbente responsabilità dell’Istituto Bancario, reo di non aver proceduto alla corretta identificazione del possessore dell’assegno.
Invece, il focus dell’odierna valutazione della Magistratura è indirizzato sull’eventuale sussistenza di un ulteriore profilo di responsabilità, quello di un cd. concorso colposo del creditore / danneggiato 1. Si tratta, cioè, di comprendere e stabilire se il mittente, e quindi colui che ha inoltrato l’assegno tramite posta ordinaria (assegno poi intercettato dai truffatori), sia in qualche modo responsabile per quanto accaduto; ovvero se, viceversa, l’Istituto Bancario debba continuare a ritenersi l’unico responsabile.
Il ché – si precisa – è decisione di non poco conto, dacché nell’ultimo caso l’Ente bancario (unico responsabile) sarebbe tenuto a risarcire in toto il mittente di quanto erroneamente pagato al camuffato destinatario; mentre nel primo, al contrario, il mittente (responsabile concorrente) rischia anch’egli di perderci in tutto o in parte soldi di tasca propria.
Ebbene, dopo aver riassunto i termini della questione, e dopo aver esplorato e raffrontato i contrastanti orientamenti patrocinati dalle diverse sezioni della Corte di legittimità, le Sezioni Unite si sono espresse con risolutezza allo scopo di dettare il seguente univoco indirizzo: lo strumento della trasmissione mediante servizio di posta ordinaria è troppo rischioso e quindi inadatto per l’invio di un assegno, e questo anche qualora tale mezzo di pagamento vanti una clausola di intrasferibilità che non ne consentirebbe l’incasso da parte di soggetti diversi dal destinatario ivi indicato 2.
In quest’ottica, infatti, i Giudici del rione Prati hanno prima approcciato e sviscerato tutte le componenti del complesso meccanismo alla base del sistema postale; hanno poi constatato le differenze in termini di modalità di trasmissione, di tracking e di consegna esistenti tra le metodologie di posta ordinaria, posta assicurata e posta raccomandata; e così hanno soppesato anche l’esistenza e l’economicità di sistemi alternativi sia di pagamento che di trasmissione dell’assegno medesimo; giungendo ad affermare, all’esito di quest’opera analitica, che: “la scelta di avvalersi della posta ordinaria per la trasmissione dell’assegno al beneficiario, pur in presenza di altre forme di spedizione (posta raccomandata o assicurata) o di strumenti di pagamento ben più moderni e sicuri (quali il bonifico bancario o il pagamento elettronico), si traduce nella consapevole assunzione di un rischio da parte del mittente […]. Pertanto, l’utilizzazione della posta ordinaria si pone in contrasto non solo con le regole di comune prudenza, le quali suggerirebbero di avvalersi di modalità di trasmissione più idonee ad assicurare il controllo sul buon esito della spedizione, ma anche con il dovere di agire in modo da preservare gl’interessi di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda”.
Inoltre, in questo contesto non assurge a valida giustificazione la presenza di una clausola di intrasferibilità sull’assegno, giacché – come precisano gli Ermellini – la clausola d’intrasferibilità non può interpretarsi quale forma di protezione contro abusi, ma semmai quale mera garanzia per il portatore in buonafede “di poterne eventualmente ottenere un duplicato denunciandone lo smarrimento, la distruzione o la sottrazione al trattario o al traente”.
Per l’effetto, le Sezioni Unite hanno rovesciato l’intendimento della Corte di Appello di Roma, e cassato con rinvio la decisione della Corte capitolina affinché il Giudice di merito possa attestare la propria pronuncia sull’esposto principio di diritto, determinare nel caso di specie la rilevanza in termini causali del comportamento spregiudicato assunto dal mittente, e, così, quantificare l’effettivo ammontare della perdita a suo esclusivo carico.
Avv. Davide Pistone
1. L’appiglio normativo è quello dell’art. 1227 del Codice Civile: disposizione normativa di stampo generale che penalizza il soggetto danneggiato per aver a sua volta posto in essere una condotta volta a non prevenire la produzione del danno (1° comma) ovvero a non evitare il prodursi di un danno di minore entità (2° comma). Il tema del concorso colposo è stato anche già trattato in questa rubrica: http://www.corrierealtomilanese.com/2019/08/22/la-dritta-dellavvocato-il-pedone-investito-se-era-al-cellulare-rischia-di-perdere-il-risarcimento/
2. Letteralmente: “La spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorché munito di clausola d’intrasferibilità, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l’affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l’esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gl’interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessario dell’evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell’identificazione del presentatore”.