La voglia di capire, di cosa fosse una guerra, ci aveva spinto sempre più in là, all’interno di una terra martoriata la Bosnia. Diverse erano state le esperienze vissute fino allora. Solo pochi giorni prima, avevamo capito che a bordo del furgone bianco, che avevamo in uso, non capivamo nemmeno noi il perché, ai posti di blocco, ci lasciavano passare. Molto probabilmente il furgone bianco con targa per loro straniera assomigliava a un mezzo ONU e forse per questo motivo ai vari check point nemmeno ci fermavano, anzi i vari militari che incrociavamo, ci salutavano, quasi come fossimo dei liberatori.
Il periodo che sto raccontando, era il primo periodo di tregua bosniaca fine 1994 inizio 1995, di giorno saltuariamente c’erano combattimenti, la sera e la notte vigeva il coprifuoco.
Solo pochi giorni prima, a bordo del Renault Trafic, avevamo raggiunto Jablanica, un centinaio di km dopo Mostar, verso Sarajevo. Non fu un viaggio semplice, all’andata passammo tranquillamente tutti i check point fino a Jablanica. A quel punto avevamo compreso che sarebbe stato possibile arrivare a Sarajevo. Ma per fortuna, quella volta in noi si accese la lampadina della coscienza. Avevano già fatto l’impossibile, eravamo arrivati fino a lì spinti dalla curiosità, per quella volta poteva bastare. Avevamo fatto i conti con le nostre capacità, non avevamo calcolato che in zona di guerra non c’era il carburante. Tornammo.
Il ritorno fu molto più difficile dell’andata.
Nei pressi di Donji Jasenjani, ci fermarono soldati spagnoli delle forze ONU, ci spiegarono che un tratto di strada di 10 km era sottoposto ad un bombardamento. Ci spiegarono che a nostro rischio e rischio potevamo transitare rischiando. Un breve consultazione con l’amico Paolo e poi un abbraccio e decidemmo… SI VA’
Furono i 10 km più lunghi della nostra vita, per fortuna nessuno in quel momento sparò un colpo, ma fu solo fortuna, arrivati in zona sicura, ricordo che fummo invasi da un’euforia innaturale, visto il contesto in cui ci trovavamo.
Ma posso raccontarne centinaia di cose che abbiamo visto o fatto in quel periodo, spinti dall’incoscienza o forse, saturi di racconti dei nostri nonni sulla loro guerra, perché quelli della nostra età sono cresciuti con tutte le storie sulla guerra vissuta dai nostri progenitori.
Di giorno ci muovevamo per fotografare, filmare, documentare, la sera no, preferivamo rimanere nella “sicura” Medjugorje assieme ai pochi pellegrini che a quel tempo osavano arrivare la.
In quel periodo, fine 1994 se ricordo bene, una flebile tregua stava tenendo, in una relativa calma. La città di Mostar. Grazie anche a un coprifuoco che andava dalle 19 alle 7 del mattino.
Ricordo come fosse ora, eravamo seduti al bar davanti alla chiesa di Medjugorje, non ricordo se io o Paolo, uno dei due, visto che eravamo solo noi, disse: “violiamo il coprifuoco ed entriamo a Mostar per vedere cosa ci succede?”
Detto oggi sembra una cosa banale, oggi con il lockdowm rischi al massimo una salata multa, li rischiavi la vita. Mi sembra che nessuno dei due parlò, ma, quasi subito, eravamo seduti sul furgone in direzione Mostar distante da Medjugorje circa 15 km.
Furono 15 km, in cui facemmo tutte le congetture possibili. Una sorta di previsione, su quello che ci sarebbe potuto accadere. Ma nemmeno per un secondo ci sfiorò il pensiero di tornare indietro.
Forse eravamo solo sciocchi, incoscienti, pazzi, o forse volevamo capire veramente cos’era una guerra.
Anche qui, secondo noi, il furgone bianco con targa “straniera” fece la sua parte. Passammo indenni 3 check point Onu (Spagnoli) Croati e Mussulmani, nessuno ci fermò. Non è bello raccontarlo in questo modo, ma eravamo euforici, avevamo un senso di onnipotenza, stavamo facendo l’impossibile, lo dico ora, 2 coglioni con un furgone bianco, ma lo fecimo.
Spinti dall’euforia esagerammo, ci portammo addirittura in centro a Mostar, zona Ponte Vecchio distrutto.
Fu lì che la nostra euforia si blocco di colpo. Una quindicina di militari mussulmani ci intimò l’Alt.
Beh! La devo dire mi si gelò il sangue, ma non so come, sia io che Paolo, restammo calmi, la calma di uno che ha diversi Kalashnikov untati addosso.
Le solite domande, chi siete, cosa fate, da dove venite, ma non era il famoso film di Troisi dove si poteva anche ridere, era reale e stava succedendo, dovevamo uscirne.
Mi ricordo che la prima cosa che mi venne in mente è di fare lo straniero scemo che si era perso e dissi: “Siamo italiani, veniamo Medjugorje da e stiamo andando in discoteca a Čitluk, qui dove siamo? “ fu un frase vincente che aprì un dialogo con i giovani militari che da anni, per la guerra, non uscivano da Mostar.
Uno di loro disse con tono severo: “Non c’era nessuna discoteca prima della guerra a Čitluk”.
Anche in seconda battuta fui pronto: “come no? Ci siamo andati ieri sera, piena di militari Spagnoli e Croati” …. Mi accorsi che stavo alzando il loro livello di curiosità, anche per il fatto che stavano abbassando i mitragliatori.
Cominciarono una serie di domande, volevamo sapere com’era la vita del loro nemico, la domanda principale se avevano cibo… sembrava che fosse la domanda principe…
Restammo fermi una buona mezzora. Ripetevamo “non abbiamo capito come siamo finiti a Mostar” anche se sapevamo esattamente dove eravamo. Quando ad un certo punto uno di loro estrasse una mappa e ci indicò l’esatta posizione dov’eravamo e dove era stato il nostro possibile sbaglio.
Sorpresa, ci indicò la miglior strada per uscire da Mostar e tornare a Čitluk.
Erano militari mussulmani, armati fino ai denti, ma il ricordo che ho di loro, è quello di ragazzi curiosi della vita, di giovani che avevano voglia che la guerra finisse per ricominciare a vivere la loro gioventù, anche semplicemente andare in discoteca a Čitluk.
Oggi a distanza di anni, non so se ci fu una buona stella che ci guidò, non so se fu la voglia di vivere di quei ragazzi, che furono curiosi della vita che si svolgeva attorno a loro, da non preoccuparsi di 2 scemi persi in terra bosniaca.
So solo che mi rimarrà a vita il ricordo di aver violato (incoscientemente) il coprifuoco di Mostar e aver capito che ovunque sei un ragazzo è un ragazzo e l’unica cosa che vuole un giovane è vivere.