CASTELLETTO DI CUGGIONO – Fu all’inizio del Novecento che tre personaggi locali, l’industriale Luigi Grassi di Turbigo, ma nativo di Inveruno; Angelo Rossi, orefice a Cuggiono e il dottor Agostoni pure di Cuggiono si misero a collaborare con il cavatore Luigi Naggi il quale aveva visto affiorare nelle sue operazioni in cava oggetti romani rinvenuti in alcune tombe e raccolti nella sua villa.
“C’erano diversi attrezzi di vita e di lavoro – scrive il Sutermeister – cesoie a molla e coltelli, strigile di fattura leggera con lievi e semplici ornati, specchi metallici in antimonio puro di forma rotonda e rettangolare e fittili vari: vasetti, lucernette, olpi, bicchieri, fusarole e un’anfora delle dimensioni di 350×700 mm. Oltre a monete in bronzo di cui una del diametro di 33 mm è un asse onciale; le altre monete sono bronzi imperiali illeggibili salvo uno su cui si vede distinta la sigla ‘SC’ (Senatus Consultus)”.
Qualche decennio dopo (1936), nelle sue ‘Memorie’ il il Sutermeister, l’ingegnere che lavorava alla Tosi, ma che è passato alla storia come il nostro ‘archeologo locale’, descrive una visione topo.archeologica del pianoro fra ‘In Scanscieu’ e la ‘Gallizia’ con le seguenti parole:
“Lungo il ciglione della collina, che corre parallela al Ticino, e strapiomba sull’odierno Naviglio Grande, hanno esistito nello spazio di 1500 metri di lunghezza:
– una stazione di terramaricoli riconosciuta nel 1902 dai proff. Castelfranco e S. Ricci;
– un estesissimo sepolcreto Romano-Imperiale (1902-1910), il tutto inghiottito dagli scavi di ghiaia e sabbia (cavatore Luigi Naggi) che caricata sui barconi puntava alla Darsena milanese (del quale scriviamo all’inizio);
– un sepolcreto Gallo-Romano in località ‘in Scanscieu’ a 500 metri a Levante dalla Stazione Preistorica detta;
– costeggiando il ciglione a 500 metri verso Nord stazione dell’Epoca del Ferro: due cinerari nel punto in cui dalla strada Cuggiono-Induno si distacca la stradetta che svolta a sinistra per scendere ala Naviglio Grande ed alla Cascina Gallizia. Nel fondo detto “Il portico di Margarita Franz” il contadino Natale Erba di Cuggiono nell’aprile 1939 rinveniva due loculi golasecchiani all’interno di uno dei quali la metà di un coltellone i bronzo, di costruzione originale, poco adatto al lavoro di fatica, probabile attrezzo rituale per il sacrificio della pecora od agnello. Il rito di spezzare gli attrezzi del defunto prima di immetterli nel cinerario dai tempi celto-gallici attraversa anche il periodo romano.
Ne abbiamo abbastanza per farci un quadro del giacimento etnico perdurato per vari millenni su questo terrazzo che spazia su di un meraviglioso panorama: la valle verdeggiate del Ticino, le fronteggianti colline e terre del Novarese e la lontana (ma non troppo) corona delle Alpi con il massiccio del Rosa.
E’ una stazione del millenario moto etnologico”
IL RECUPERO DELLA CASCINA GALIZIA
L’ipotesi di recupero della Cascina Galizia era condensata in una tesi di laurea in archiitettura di Cristiana Dell’Acqua e Giovanna Gennaro presentata nell’anno accademico 1999-2000. Relatori il prof. Filippo Tartaglia e l’arch. Maurizio Airoldi.
Lo studio inizia con l’elencare le numerose scoperte archeologiche databili alla prima età del ferro fino al periodo tardo antico. Poi affronta la successione della proprietà: dal reverendo Melchiorre Galizia al capitano Luigi Galizia. Nel Catasto teresiano (1722) l’area occupata dalla cascina era identificata con il numero di mappa 398 ed apparteneva a Rodolfo della Croce, tutore dei figli minorenni che ereditarono la proprietà alla morte della madre Ippolita Galizia, che l’aveva a sua volta avuta dal padre, capitano Luigi.
Ma nelle tavole del nuovo estimo redatte nel 1751 i proprietari della cascina risultano essere i Padri Domenicani di S. Eustorgio che acquistarono la proprietà nel 1737, aggiungendola ai numerosi possedimenti che avevano a Castelletto dov’era situato anche il convento posto accanto all’attuale chiesa recentemente restaurato dal Decanato di Castano Primo. Nella mappa del Catasto Lombardo-Veneto del 1857 l’area è identificata dal numero di mappa 822 e apparteneva al nobile Giovanni Battista Cagnola.Nel Catasto attuale del 1958 risulta che la proprietà è della società ‘Immobiliare Galizia s.r.l’ con sede a Cuggiono che l’acquistò nel 1983 dai Fratelli Naggi. Nel 2014 La famiglia Tarantola di Rosate ha acquistato la Galizia, insieme alla cascina Della Croce e alla Gallarata trasformandole in agriturismo.
FOTO Il ciglione-terrazzo che spazia su di un meraviglioso panorama: la valle verdeggiate del Ticino, le fronteggianti colline e terre del Novarese e la lontana (ma non troppo) corona delle Alpi con il massiccio del Rosa. Due foto della Gallizia restaurata con l’affresco dello stemma della nobile famiglia