Oggi ricordiamo la figura di Roberto Stucchi attraverso le parole del critico d’arte Vittorio Raschetti.
Mi è capitato spesso, andando in giro per le mostre, di incontrare Roberto in compagnia dell’amico e collega Raffaello Talò.
Come vedrete il testo è molto poetico, da un lato rende merito allo stretto rapporto di Stucchi con l’arte, dall’altro è il culmine di una serie di rapporti umani cementati dalla pura passione per l’arte.
Roberto Stucchi: genealogia del colore, forma allo stato nascente.
Il colore, nonostante tutto, il colore autentico mai dimenticato, potente, strutturato secondo un movimento di allineamento verso l’orizzonte senza limiti. Pittura di tensione e torsioni, strutturata a partire dall’impossibilità, colore condensato in un movimento di sfida alla parola, di amore per la qualità sensibile e super sensibile della vibrazione. Una architettura di visioni una presbiopia dell’anima che sa vedere meglio ciò che è lontano che non si accontenta di ciò che è troppo vicino, di ciò che vuole occupare il primo piano, un’arte che si fida solo dell’orizzonte, che si confida con l’infinito.
Quando la tela è cosi distante, quando l’ortogonalità è una sfida sensoriale, allora il colore comincia ad apparire grazie ad un sistema di tensioni, un movimento per successioni di movimenti, di onde orizzontali, di campi di colore stesi con movimento razionale ma incommensurabile con la pratica dell’ortogonalità. Guizzi e molecole di colore accostate per fondersi in una chimica originale della sensazione cromatica. Alfabeti condensati in gesti esplosi nell’irrompere del dire, del sovra-scrivere dell’esprimere alla potenza, nella volontà di confondersi con la materia indelebile della pittura.
Estrema grazia del tocco costruita attorno a linee spezzate di fuga oltre qualsiasi bisogno di educazione accademica, perché ogni vera pittura è una auto-educazione poetica al vedere. Senza cenacoli né scuole, solo con se stesso, insieme a un mondo intero di sensazioni indicibili, avvolto dal sogno tentacolare di un mondo di gesti capaci di energia precisa che spezza la costruzione-costrizione piana della tela.
Echi de-frammentati guizzanti per spingersi in una narrazione fuori baricentro sgravata degli oneri della narrazione ma capace di raccontarsi nell’analisi, nella controllata consapevolezza dell’espressione. Una verifica continua della consistenza della realtà tracciando linee di incontenibile straripante intensità come lampi nel paesaggio, come lame nel buio capaci di squarciare il velo che copre la sostanza etica del vedere.
Un arsenale di colori pronti ad assaltare l’indifferenza, pronti ad aggredire la monotonia.Una continua esplorazione dell’atto del dipingere una ricerca sul senso della pittura come pratica non della mimesi ma della genesi dello spazio. Per una pittura non come immagine ma come evento, come accadere inatteso. Una pittura con una origine tattile in grado di costruire per composizione di frammenti di filamenti cromatici, un assemblaggio del corpo della visione. Vegliati da nebulose condensate in tracce rapprese, tra alfabeti disseminati con nervosa, insperata, pazienza, tracciare è un esercizio vitale di resistenza, una prova ontologica di esistenza.
Tutto il potenziale inscritto nell’istinto del tracciare tra strati di segni, premonizioni di sogni, pensieri prima dei colori che si riverberano nel passato, come armonie che risuonano sulla superficie di onde semantiche. Ermetiche ed orgogliose, erratiche. Un modo di rivolgersi all’assente, di farlo apparire, di lottare contro la sparizione nella fuggevole avventura dei giorni. Anima fauve, nelle associazioni del calore compresso sino al desiderio della deflagrazione, inquieto, mai mansueto, in nessun modo addomesticabile. Si tratta di mantenere la bi-dimensionalità della superficie pittorica e al contempo dipingere la profondità immersa nell’abisso musicale del puro colore. Armonia in movimento, attraversata dal caso solo apparente, perché il caos non è mai caotico, ma rappresenta la manifestazione di un disegno interno dell’idea che si lascia decifrare per via intuitiva.
Mai nulla di immobile, di fisso, di concluso, ogni colore ondeggia in un continuo moto di un centro di vibrazione ellittica attornio ad un contorno incerto, che chiede solo di essere oltrepassato. La forma va suggerita, evocata con una meditazione cromatica, uno slancio vitale che si condensa in forme organiche allusive, aggregati spontanei di atomi pigmentati ed arrabbiati.
Cosa sappiamo dell’espressionismo astratto, del gesto aggettante del colore che ricade sulla propria ri-scrittura, come una firma condensata in lettere sovrapposte l’una all’altra? Questa enorme potenza pittorica si condensa come in un sogno una scena primaria della libertà, della fuga dell’anima dalla gabbia irragionevole del corpo inconseguente. Nessun timore, pura vibrazione di intensità senza paura, ricerca libera dalle costrizioni della forma, dalle camicie di forza dove ogni frammento di tela è un pezzo di autonomia conquistata.
Una poesia di vettori poetici di direzioni razionali volute ma anche scagliate più oltre, perché la vera intelligenza del pittore è intuire che è l’anima interna del colore a decidere in modo naturale dove andare a gettarsi, dove andare a situarsi nella tela arricchendo la composizione di una sostanza vivente esaltando la risonanza, la dissonanza, i giochi di luminescenza superficiale, le emozioni e le allusioni, evocando l’imprendibile, la bellezza infinita della libertà.
La pittura di Roberto Stucchi ha una origine tattile, incentrata su una fenomenologia aptica, alla ricerca di uno scambio empatico col mondo. Si può afferrare davvero solo ciò che non si è mai smesso di cercare. Basta lasciarsi invadere da ostinate presenze somatizzate su superfici reattive ad alta sensibilità. E’ una forma di devozione, una pratica dell’attenzione che acuisce la percezione di perdita inscritta nell’origine, come un codice criptato, inaccessibile ma irrinunciabile, riconquistato attraverso un linguaggio di rispetto per l’esistenza che sa confrontarsi col silenzio.
Vittorio Raschetti